In importante cornice bolognese intagliata e dorata del Cinquecento.L'opera è accompagnata dalla scheda a cura del Professor Marco Tanzi, di cui si riporta di seguito un estrattoProvenienza:Collezione privata, Ferrara.La tela in esame rappresenta senza dubbio uno dei vertici della pittura di questo specifico contesto artistico mantovano del primo quarto del Cinquecento al quale si affida il nome del Tura. Il compianto si distingue dalle altre per la particolare disposizione nei confronti di Ferrara dei suoi dati di stile: come dire, tra Costa, Ortolano e Mazzolino, più che in ogni dipinto riunito da Longhi in poi in questo problema critico. Non solo: la tela dipende da un celebre modello raffaellesco inciso da Agostino Veneziano, Marcantonio Raimondi e Marco Dente a partire dal 1515 circa. Si tratta quindi di un'opera precoce del pittore mantovano, fresco di un'esperienza, evidentemente molto positiva, nella città estense, che non si nutre esclusivamente degli ultimi struggenti frutti lasciati a Mantova dal vecchio Lorenzo Costa, ma si arricchisce delle lucentezze cromatiche e delle sottigliezze pittoriche tipiche della generazione successiva, con accordi preziosi e una notevolissima morbidezza chiaroscurale. Affronta a suo modo, quasi scanzonato, i ritmi e la solennità della composizione raffaellesca rendendoli più accostanti e feriali, dando al tema un tono sottilmente malinconico ma non giocato con le tinte del dramma.Quello in esame è il dipinto che più si avvicina al guastissimo capolavoro del Tura mantovano, l'altro Compianto sul Cristo morto ricomparso in anni recenti in vendita veneziana, di cui Carlo Volpe pubblicò diversi anni fa, come Correggio, soltanto il particolare con San Giovanni Evangelista.