Il dipinto viene citato nell'inventario del 26 giugno 1713, di Don Giovanni Battista Rospigliosi, Duca di Zagarolo, al n.252, con la dizione “un quadro in tela simile (riferendosi al numero precedente, “di mezza testa” corrispondente a 100x75 cm circa) rappresenta un Pellegrino con le mani giunte al petto, opera dello Spagnoletto”.
Reca nella parte posteriore della cornice il sigillo in ceralacca apposto da Clorinda Carafa della Stadera, XI Principessa di Colubrano e Duchessa di Maddaloni, che consente di ricostruire la storia del dipinto.
Il committente dell'opera può essere quasi certamente individuato nel Cardinale Lazzaro Pallavicino (1602-1680) il quale nel 1679 tramite testamento lo donò, assieme a molte altre opere, alla nipote Maria Camilla Pallavicino, unica discendente del ramo Pallavicino, che sposa Don Giovanni Battista Rospigliosi assumendosi, con il marito, l'impegno che il primo dei suoi figli continuerà a chiamarsi Rospigliosi ed il secondo, invece, porterà il cognome Pallavicino e così in futuro.
Giovanni Battista a sua volta fa compilare un inventario della sua grande quadreria, (vedi manoscritto nell’Archivio Pallavicini, vol. A-S-1, pubblicato da Federico Zeri nel 1959) per lasciare i suoi beni al suo primogenito, Clemente Domenico, (1674-1752), che sposa Giustina Borromeo, nipote di San Carlo Borromeo. Il dipinto va alla terza figlia di Clemente Domenico, Caterina, e successivamente a sua figlia Alfonsina, che sposa Don Michele Carafa della Stadera, VII Principe di Colubrano. Passerà poi al loro secondo figlio, Don Domenico, IX Principe di Colubrano. Domenico ha due figli, Marzio Gaetano, X Principe di Colubrano e Clorinda, XI Principessa di Colubrano, Duchessa di Maddaloni che sposa nel 1820 Don Donato Proto Pallavicino e appone il sigillo posto sul retro della cornice, con al centro lo stemma Carafa sormontato dall’Ombrello Papale, (a indicare il privilegio di avere un Papa in famiglia) in cui a sinistra si trova lo stemma di Casa Proto e a destra lo stemma Pallavicino. L’apposizione del sigillo risale, presumibilmente, agli anni Sessanta del XIX secolo, ed è appunto, a quell’epoca che si può datare la completa ridoratura della antica e originale cornice del dipinto.