Gabriele di Battista Bregno alias da Como
(Osteno ?, Como, 1430/40 ca. - Palermo 1505)
Madonna del Soccorso, 1500 ca.
nella base Madonna col Bambino tra i committenti, due stemmi della famiglia Lavia e iscrizione «.VICENCIUS./LAVIA.FIERI/.FECIT.»
Statua su base scolpita a bassorilievo; marmo in parte dipinto e dorato; cm 172,5x60x42 ca. (la statua cm 143x60x42, la base cm 29,3x44,3x41).
Gabriele di Battista Bregno alias da Como, “Madonna del Soccorso”, (Osteno?, Como, ca. 1430/40 - Palermo 1505), circa 1500, partially gilt and painted in polychromed marble, 172,5x60x42 cm (overall); 143x60x42 cm (sculpture) e 29,3x44,3x41 cm (base)
Provenienza
Nicosia, Santa Maria del Soccorso (fino al 1866 ca.)
Palermo, Antonino Pirrotta (fino al 1916)
Palermo, eredi Pirrotta (fino al 1985/90 ca.)
Firenze, Collezione Giovanni Turchi
Bibliografia
V.M. Amico, S. Mariae de Succursu juxta Nicosiamin, in R. Pirro, A. Mongitore, Sicilia Sacra, disquisitionibus et notitiis illustrata, II, Palermo 1733, pp. 1273-1275, pp. 274-275);
G. Beritelli La Via, A. Narbone, Notizie Storiche di Nicosia, Palermo 1852, pp. 172-173;
A. Campione, Il Monastero dei Benedettini e la Chiesa di Santa Maria del Soccorso, 1378 (1998), in “Nicosia news”, online, 2008.
Questa pregevole statua di manifesta cultura gaginesca, sino ad oggi inedita, costituisce una testimonianza di particolare interesse per la scultura del primo Rinascimento in Sicilia, in ragione di una qualità non comune - ravvisabile sia nella composizione, animata da estrose figurine, sia nell’accurato intaglio, quale si apprezza in particolare nei delicati tratti del volto assorto di Maria -, come anche per l’eccellente stato di conservazione, ma soprattutto per la provenienza da una chiesa di Nicosia oggi diruta, attestata da antiche fonti locali: provenienza che trova puntuale riscontro nell’identità del committente, il barone Vincenzo Lavia raffigurato sul basamento, e ne conferma l’attribuzione, suggerita dalle peculiarità formali, a Gabriele di Battista Bregno, apprezzato maestro comasco attivo a Palermo dove si distinse tra i protagonisti di quella feconda stagione dell’arte del marmo nell’Italia meridionale.
L’opera raffigura la Vergine Maria che nella mano destra stringe l’impugnatura di un nodoso bastone (oggi privo del batacchio poggiato sulla spalla destra) impiegato per scacciare una viscida creatura demoniaca antropomorfa dal volto barbato e le zampe palmate in atto di ritrarsi ai suoi piedi, mentre con la sinistra solleva il manto per accogliere sotto la propria protezione un fanciullo impaurito che s’inerpica afferrandone le pieghe. Si tratta di un’iconografia ben nota, talora declinata con alcune varianti, definita “Beata Vergine Maria del Soccorso” (o più semplicemente “Madonna del Soccorso” o “Madonna della Mazza”) - uno degli appellativi con cui la Chiesa cattolica venera tuttora la Madonna -, secondo un culto istituito a Palermo nel 1306 dal priore del convento di Sant’Agostino, Nicola La Bruna, a seguito di tre miracolose apparizioni della Vergine, nella seconda delle quali la Madonna giungeva in soccorso di una madre collerica pentita per aver invocato il diavolo affinché venisse a prendersi il discolo figlioletto (Armenti - Bocola 2000; El-Hanany 2006). Un culto in seguito ampiamente diffuso dagli Agostiniani prima nel Meridione e poi nel resto d’Italia, dove sorsero confraternite, oratori, chiese e santuari dedicati alla Madonna del Soccorso e si realizzarono analoghe immagini, sia in pittura che in scultura, come testimoniano le numerose statue marmoree databili tra Quattro e Cinquecento ancor oggi venerate in Sicilia e in Calabria (Migliorato 2010).
Il gruppo, grande poco meno del vero, scolpito quasi a tutto tondo in marmo finissimo, accuratamente lustro e patinato, vivacizzato da dettagli dipinti e impreziosito da lumeggiature dorate con raffinati ricami floreali stilizzati ‘a griccia’ nel manto - interventi da ritenere originari, secondo una consuetudine ben attestata nella scultura siciliana (cfr. Veronese 2006) -, posa su un’alta base in forma di prisma esagonale (detta ‘scannello’), come d’uso nella statuaria d’ambito gaginesco, che reca scolpita sulle tre facce anteriori la Madonna col bastone e in braccio il Bambino Gesù tra una coppia di devoti genuflessi, ben caratterizzati nei tratti fisionomici e nelle vesti di foggia moderna, la donna col rosario tra le mani giunte in preghiera e l’uomo con un piccolo libretto aperto, da ritenere pertanto le effigi dei coniugi commissionari dell’opera. L’identità del committente, Vincenzo Lavia, è del resto dichiarata dall’iscrizione che corre sul gradino modanato della base, così come quella della sua famiglia appare enfatizzata dai due stemmi identici scolpiti sulle facce laterali (alla banda accostata da tre stelle, due in capo e una in punta).
Nobile famiglia proveniente da Cremona, forse originaria della Guascogna, i “Lavia” - casato poi convertito in “La Via” intorno al 1700, apportando qualche variante al blasone -, si erano stabiliti in Sicilia nel 1292, quando Gutierrez, segretario a Napoli della regina Bianca d’Angiò, fu nominato Castellano di Catania e di San Filippo d’Argirò, diramandosi poi tra Catania, Palermo, Messina, ma radicandosi soprattutto a Nicosia (Enna), dove molti di loro si distinsero per secoli nella vita civile, religiosa e culturale di questa località, come in tempi recenti il glottologo Mariano La Via (1868 - Roma) o il celebre filosofo Vincenzo La Via (1895 - 1982) che il nome sembra ricondurre al ramo del committente della nostra Madonna. Questi è verosimilmente identificabile in Vincenzo Lavia «Barone di Fittuzia, Cavaliere dello Spron d’oro e Domestico di Corte, Giudice civile e criminale, Capitano di Catania e Giurato di Nicosia nel 1529» - un anno compatibile con la datazione dell’opera intorno al 1500 e con le fattezze giovanili e l’abbigliamento dell’effigiato -, vissuto in un momento in cui la famiglia ricoprì ruoli di particolare prestigio nella città e in altri centri della Sicilia meridionale, come attestano Pietro e Antonello Lavia più volte Capitani di Nicosia sullo scorcio del Quattrocento, e in particolare Filippo (o Gian Filippo), «Barone di Buterno e di Grado, Castellano di Marquet in Siracusa, Regio Milite, Cavaliere dello Spron d’oro e Domestico di Corte», che nel 1535 ospitò a Nicosia nel suo lussuoso palazzo (passato poi ai Castrogiovanni) l’imperatore Carlo V di ritorno dall’impresa di Tunisi, il quale concesse alla famiglia vari privilegi (Beritelli La Via - Narbone 1852, pp. 4, 71-72; Candida Gonzaga 1876, pp. 146-148).
La provenienza della statua da quest’antica, pittoresca cittadina nel cuore montano della Sicilia è comunque ben documentata da un’erudita, corposa trattazione sulla storia di Nicosia portata a termine nel 1811 da un discendente della medesima famiglia, il barone Giuseppe Beritelli La Via, poi riveduta, aggiornata e pubblicata nel 1852 da Alessio Narbone, dove infatti, descrivendo la chiesa dedicata «a nostra Signora del Soccorso» annessa al monastero benedettino suburbano edificato tra il 1373 e il 1378 dal priore Tommaso Masellino nella valle del fiume Salso (nella contrada detta al tempo Farinato) vi segnalava «un bel simulacro della Madonna di bianchissimo marmo, opera del Gagini; dono di Vincenzo la Via barone di Buterno», sottolineando inoltre come l’immagine fosse oggetto di un culto ancora assai vivo: «nel suo dì festivo, ch’è l’otto settembre, avvi gran copia di fedeli adoratori» (Beritelli La Via - Narbone 1852, pp. 172-173). Del resto la bella Vergine marmorea e il suo devoto committente erano già stati menzionati nelle notizie sul priorato di Santa Maria del Soccorso aggiunte dal dotto storico benedettino Vito Maria Amico all’autorevole compendio Sicilia Sacra, dal quale apprendiamo inoltre che era stata posta sull’altar maggiore, trasferendo su un altare minore una più antica immagine della Madonna del Soccorso (Amico 1733, II, pp. 1274-1275).
Il cenobio, per la sua posizione solitaria e poco salubre, fu progressivamente disertato dai monaci e sulla fine del Seicento affidato al governo di un solo sacerdote, poi, a seguito delle leggi eversive dell’asse ecclesiastico (1866), abbandonato definitivamente. Passato di proprietà a varie famiglie locali (Nicosia, Speciale e dagli anni Cinquanta ad altri privati), è oggi in totale rovina - tanto che il sito, tradizionalmente denominato “u Soccorso”, viene detto “u Diavolazzo” o “o Casteddazzo” -, ma, almeno fino a qualche anno addietro, si potevano ancora distinguere le mura elegantemente decorate della piccola chiesa, isolata dalla poderosa struttura conventuale, e tracce dell’altare sul quale si ergeva la Madonna del Soccorso (A. Campione 1998; cfr. anche Alla scoperta di Nicosia: O Diavolazzo, in YouTube).
Presumibilmente la statua, in ottimo stato di conservazione, fu rimossa dalla chiesa proprio nel 1866, con la soppressione degli ordini e delle corporazioni religiose i cui beni vennero incamerati dal Demanio e in buona parte immessi sul mercato. Della sua successiva, ragguardevole vicenda collezionistica sappiamo che il 10 maggio 1953 fu concessa in deposito temporaneo al Museo Poldi-Pezzoli di Milano, come attesta il “verbale di riconsegna” del 6 gennaio 1984 all’ingegnere Vincenzo di Felice Pirrotta di Palermo, dal quale si evince inoltre che l’opera apparteneva ai rami ereditari dei tre defunti figli di Antonino Pirrotta (1830 ca. - 1916) - uno degli esponenti più facoltosi e raffinati dell’alta borghesia cittadina, imparentato con la famiglia di Luigi Pirandello -, ossia Antonio, Felice e Vincenzo (1870/80 ca. - 1943), imprenditori nella produzione di manufatti in stile Liberty e quest’ultimo, padre del celebre musicologo Nino Pirrotta, ricordato anche come colto collezionista d’arte e per la frequentazione di intellettuali e conoscitori del calibro di Adolfo Venturi e Bernard Berenson (Cummings 2013, pp. 3-9).
E’ dunque probabile che la statua fosse stata acquisita fin da subito da Antonino Pirrotta, in quanto la famiglia era a conoscenza della sua provenienza da Nicosia, come si legge - peraltro in termini generici, senza riferimento alla chiesa di Santa Maria del Soccorso - in un appunto dattiloscritto (conservato dall’attuale proprietà insieme al citato verbale del museo milanese) tratto “da una monografia della Prof.ssa Maria Accascina di Palermo”, affermazione che però non sembra trovar riscontro nelle pubblicazioni di quest’esperta studiosa dell’arte in Sicilia, assidua frequentatrice del salotto di casa Pirrotta (Cummings 2013, p. 8), e quindi più probabilmente desunto da una scrittura privata (il marmo potrebbe corrispondere alle foto nn. 115.1a.29-30 del “Fondo Accascina” presso la Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace” di Palermo: cfr. Di Natale 2014). L’orientamento attributivo qui proposto dall’Accascina appare comunque assai pertinente, riconducendo l’opera «nella prima cerchia dei discepoli di Domenico Gagini, nei primi anni della sua grande attività, come scultore di Corte, presso il Vicerè Niccolò Speciale», tra i quali menziona il figlio Giovannello, Andrea Mancino, Giorgio da Milano, Stefano di Martino e, con una nota preferenziale, «Gabriele di Battista da Como, che insieme ad Andrea Mancino lavorò a Nicosia, luogo da cui proviene la statua».
Infatti la nostra Madonna del Soccorso, caratterizzata da soluzioni compositive e stilemi formali ispirati dalle numerose immagini mariane realizzate da Domenico Gagini e collaboratori, attivo in Sicilia dal 1459 alla morte nel 1492 (Kruft 1972) - quali vediamo nelle fattezze adolescenziali del volto di Maria, nelle ricadute a ventaglio del manto o nella tipologia dello scannello figurato -, reinterpretate con modi più stilizzati e un’algida eleganza ravvivata da accenti estrosi, come la posa dinoccolata del bambino o il guizzante diavoletto, trova palesi riscontri nelle opere documentate o concordemente attribuite di Gabriele di Battista Bregno: scultore di origine comasca attestato a Palermo dal 1472, dove, dopo aver collaborato con lo stesso Gagini, gestì una prolifica bottega operosa per i più importanti centri dell’isola (Trapani, Catania, Siracusa, Messina etc.), spesso in società con altri maestri lombardi e carraresi (Antonio Prone, Pietro da Bonitate, Bartolomeo di Giovanni, Andrea Mancino, Giacomo di Benedetto, Giovanni Domenico Pellegrino, i figli Paolo e Pietro Antonio etc.), conquistando ben presto una posizione di spicco nella scena locale, quale si evince dal Privilegium concesso ai marmorari palermitani nel 1487 (La Bella 1998). Una personalità, quella di Gabriele di Battista, che, dopo le aperture nelle pionieristiche ricognizioni sulla scultura del Rinascimento in Sicilia di Gioacchino di Marzo (1880-1883), Maria Accascina (1959) e Filippo Meli (1959), è stata oggetto di ricerche specifiche da parte di autorevoli specialisti (Kuft 1976; Naldi 2005; Mendola 2023) che hanno contribuito, anche di recente, a ricostruirne su basi documentarie l’articolato percorso.
Tra le opere già ricondotte al catalogo di Gabriele di Battista più utili a confermare la paternità dell’opera in esame possiamo ricordare la Madonna del Soccorso ora nel Duomo di Marsala (Trapani) proveniente dalla chiesa di Santa Maria della Grotta, commissionatagli nell’agosto 1490 insieme a Giacomo di Benedetto, che, seppure ancora strettamente imparentata nella composizione a quella eseguita da Domenico Gagini per la chiesa di San Francesco a Palermo, manifesta un identico andamento del panneggio percorso da nette pieghe parallele: uno stilema peculiare che si accentua con esiti sovrapponibili alla nostra statua, come la voluta angolosa del manto intorno alla mano destra di Maria, nella Madonna della Catena in Santa Maria di Gesù a Siracusa, presa in carico con Giovanni Domenico Pellegrino nell’ottobre 1503, o nella Sant’Agrippina in San Giuseppe a Scicli (Ragusa) datata 1497. Questi stessi caratteri si riscontrano anche nella Visitazione in San Giovanni Battista a Erice (Trapani), composta da due statue che ci offrono confronti calzanti pure per le fattezze affusolate del volto e delle mani di Maria, pagata nel marzo 1497 al solo Gabriele di Battista (Naldi 2005), e dunque tale da indurci a proporre per la nostra un’esecuzione del tutto autografa e una datazione sul volgere del secolo.
Infine, in ragione della sua provenienza da Nicosia qui accertata, è opportuno ricordare che i documenti a noi noti attestano almeno due lavori condotti da Gabriele di Battista per la Chiesa Madre (San Nicola) di questa cittadina, già nel 1489 (otto colonne, con Andrea Mancino) e proprio nel 1497 (Tabernacolo del Sacramento, con Giovanni Domenico Pellegrino, trasferito nel 1499 in San Niccolò d’Albergaria a Palermo, oggi perduto), basilica dove si trovano altre sculture riferite a collaboratori del maestro comasco (Fonte battesimale, ad Antonio Prone; Madonna col Bambino, ad Andrea Mancino), tre dei quali - il Pellegrino, Antonio e Paolo di Battista - in quello stesso 1497 si impegnarono, anche a nome di Gabriele, a scolpire per la locale chiesa di Santa Croce una statua raffigurante la Madonna della Catena, datata 1498, e una perduta Acquasantiera (Kruft 1976, p. 27; Mendola 2023, pp. 241-242).
Giancarlo Gentilini
Bibliografia di riferimento
G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI, Palermo 1880-1883;
M. Accascina, Sculptores habitatores Panormi. Contributo alla conoscenza della scultura in Sicilia nella seconda metà del Quattrocento, in “Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte”, n.s, XVII, 1959, 8, pp. 269-313;
F. Meli, Costruttori e lapicidi del Lario e del Ceresio nella seconda metà del Quattrocento in Palermo, in Arte e artisti del Laghi Lombardi, a cura di E. Arslan, Como 1959, I, pp. 207-243;
H.W. Kruft, Domenico Gagini und seine Werkstatt, München 1972;
H.W. Kruft, Gabriele di Battista, alias da Como: problemi sull’identità e le opere di uno scultore del Rinascimento in Sicilia, in “Antichità viva”, XV, 6, 1976, pp. 18-38;
F. Armenti, M. Bocola, La Madonna del Soccorso tra storia e devozione mariana, San Severo 2000;
C. La Bella, voce Gabriele di Battista, in Dizionario Biografico degli Italiani, LI, Roma 1998, pp. 49-51;
R. Naldi, Una proposta per Gabriele di Battista da Como, in Interventi sulla «questione meridionale», a cura di F. Abbate, Roma 2005, pp. 77-83;
E. El-Hanany, Beating the devil, images of the Madonna del Soccorso in Italian Renaissance art, Bloomington 2006;
V. Genovese, Colore, brillio e lustro. I Gagini e la percezione delle “imagines depictae”, in “Ricerche di Storia dell’arte”, 90, 2006, pp. 81-100;
A. Migliorato, Una maniera molto graziosa. Ricerche sulla scultura del Cinquecento nella Sicilia orientale e in Calabria, Messina 2010;
A.M. Cummings, Nino Pirrotta. An Intellectual Biography, Philadelphia 2013;
R. Di Natale, Il Fondo Accascina (1922 - 1979), online, 2014;
G. Mendola, Scultori lombardi a Palermo fra Quattro e Cinquecento: Gabriele di Battista Bregno alias da Como, in Scultori dello Stato di Milano (1395-1535), a cura di M. Moizi, A. Spiriti, Cinisello Balsamo (Milano) 2023, pp. 236-247.