Raro bronzo realizzato mediante calco diretto su conchiglia vera.
Nel Rinascimento padovano le fusioni dal vero sulla scia della tematica Natura-Artificio erano frequenti. Serpenti, ramarri, rospi e granseole, dopo essere stati ricoperti di materiale refrattario e posti a elevate temperature, lasciavano un calco perfetto del loro corpo da usare come stampo per una successiva fusione.
Dietro all’apparenza della curiosità da scrivania, i calamai, candelieri e fermacarte realizzati in tal modo nascondevano spesso significati filosofici legati alla gara di emulazione dell'arte con la natura.
E la nostra tridacna potrebbe senz’altro rientrare in quest’ambito produttivo.
Spesso le conchiglie venivano usate come recipienti per l'inchiostro associate a satiri composti in improbabili e fantasiosi calamai di bronzo. Si veda la produzione di Severo da Ravenna e Gerolamo Campagna.
Non presentando segni di appartenenza ad altro oggetto - quali buchi, perni e così via - ci piace pensare alla nostra conchiglia come a un’opera autonoma, rappresentante sé stessa.
Natura e artificio.
Per raffronti si vedano:
la grande valva di conchiglia, simile alla nostra, sorretta da un uomo inginocchiato attribuita a Girolamo Campagna (Museo Correr, Venezia; Vittoria and Albert Museum, Londra).
Al Castello del Buonconsiglio di Trento, la conchiglia, parte di un calamaio, attribuita alla bottega di Severo Calzetta da Ravenna.
Alcune tridacne in bronzo si possono trovare in opere di Francesco Bertos (Venezia 1678-1741), quali svuota tasche sui cui bordi giocano puttini musicanti miniaturizzati.