Calamaio con corpo centrale bacellato sostenuto da tre leoni accovacciati al di sopra di una base trilobata sorretta da piedini a guisa di mostri alati, forse grifoni. La cuspide del coperchio è un satiro seduto colto nell'atto di voltarsi sulla sinistra.
Tutti gli elementi della complessa composizione sono raccordati da ghirlande e mascheroni.
Oggetto di grande sapore, con la matericità tipica delle fusioni padovane tardo rinascimentali. La patina spessa e bituminosa è infatti riscontrabile in molta della produzione 5-600esca di area veneta.
Desunto dai grandi maestri veneti è anche il ricco patrimonio iconografico di satiri, mascheroni e ghirlande.
Confronti
Lontani prototipi del satiro accucciato sul tappo del calamaio sono sicuramente i satiri incatenati al Candelabro Pasquale nella Basilica del Santo a Padova, firmati, come è noto, dal Riccio. A invenzioni del Riccio appaiono liberamente ispirati anche i mascheroni raffiguranti satiri dalle lunghe orecchie (presenti sempre nel tappo).
Piuttosto grezza, con pochissima finitura a freddo e piccoli difetti di fusione che non sono neanche stati eliminati, la scultura trova proprio in questa forte matericità il suo punto di forza e la sua chiave di autenticità.
Recentemente è passato in asta un calamaio molto simile al nostro attribuito alla scuola di Giuseppe de Levis ma, pur non avendo motivi per negare tale attribuzione, non se ne trovano nemmeno per suffragarla, un orientamento confermato dalla recente monografia di Charles Avery.
Plausibile l’attribuzione a qualche fonderia veneta tardo rinascimentale, probabilmente del XVII secolo.