Olio su tavola riportata su tavola, cm. 109x103
Attestato di libera circolazione. È stato Federico Zeri a restituire questo dipinto a Giovanni Bellini (lettera del 23/01/1990), assegnandolo agli ultimi anni dell'attività dell'artista. Dipinto di alta qualità formale e stilistica, denota un carattere di analisi psicologica che Zeri segnala cometimbro psicologico e spirituale tipico dell'estrema attività del pittore, ponendo quest'opera in rapporto con un altro capolavoro del Bellini, L'ebbrezza di Noè del Musée des Beaux Arts di Besançon. Altre ipotesi attributive a Domenico Mancini (C. Volpe) e Giovanni Cariani Busi (A. L. Meyer) sono state quindi respinte da Zeri, e si deve ricordare che anche per L'ebbrezza di Noè, assegnata al Bellini dal Longhi nel 1927, la critica si era divisa tra Cariani (Berenson, 1932, che poi accolse nel 1957 la corretta attribuzione al Giambellino), Tiziano (Heinemann, 1962), e Lotto (Gilbert, 1956).L'autografia dell'Ebbrezza di Noè è stata poi confermata dal Pallucchini (1949) e da Bottari (1962).Questa linea disingolare timbro psicologico sottolineata da Zeri è caratteristica dunque degli ultimi anni di attività del pittore, come si evince in altri dipinti quali la Donna nuda allo specchio del Kunsthistorishes Museum di Vienna, e le Madonna col Bambino benedicente del Detroit Institute of Art e, soprattutto, quella di Milano, Brera, ambedue assegnate al 1509-10.In tutte queste opere lo stile del Bellini pare annunciare sia quello del Giorgione che quello di Tiziano, suoi allievi e collaboratori.Importante l'indicazione di Zeri sul fatto che la Vergine, San Giuseppe e il Bambino non rivolgono lo sguardo allo spettatore, ma verso il gesto della mano benedicente, a differenza delle Madonne di Detroit e Brera.Si riporta parte della perizia di Zeri:Ho sempre considerato quest'opera di grandissima importanza; a mio avviso si tratta di una delle estreme produzioni di Giovanni Bellini, eseguita verso il 1515 o anche all'inizio del 1516, anno di morte del pittore. I modi e la tipologia del Bellini, così evidenti nella figura del Bambino, vengono interpretati con un fare vicinissimo a quello del Noè del Museo di Besançon: anche qui la materia diviene quasi sfatta, e anche in quest'opera circola quel singolare timbro psicologico e spirituale che caratterizza l'estrema attività di Giovanni Bellini. Ad esempio, nessuna delle figure guarda verso di noi, proprio come accade nel Noè ed in altre pitture di questo tempo.È probabile che alcuni dettagli della superficie siano rimasti incompiuti alla scomparsa del Bellini, e che siano stati completati da un allievo forse Rocco Marconi; ma si tratta di minuzie (ad esempio nel velo della Vergine), che non hanno toccato le tre figure, di eccezionale sostenutezza.Del dipinto, assegnato al Bellini, esiste una scheda con fotografia nell'Archivio Federico Zeri, Bologna, Università, con regesto delle varie precedenti provenienze.Il dipinto è stato visionato da Anchise Tempestini che ha suggerito l'attribuzione a Pietro degli Ingannati (attivo tra il 1529 e il 1548).
Bibliografia di riferimento
L'opera completa di Giovanni Bellini detto Giambellino, apparati critici e filologici di Terisio Pignatti, Rizzoli, Milano, 1969, p. 108, nn. 193, 194, p. 110, n. 211.
Perizia attributiva di Federico Zeri, in data 23 gennaio 1990.