Pietro Grammorseo
(1490 circa – Casale Monferrato, prima del 1531)
SAN GREGORIO MAGNO E SANTO STEFANO
tempera grassa su tavola e aureole in lamina d’oro, cm 126x52
Bibliografia di riferimento
G. Romano, Casalesi del Cinquecento: l'avvento del manierismo in una città padana, Torino, 1970
Il dipinto qui offerto è senza alcun dubbio un’opera straordinaria e probabilmente una tra le più importanti tra quelle appartenenti alla collezione Vezzosi.
Eccezionale, in primo luogo, in virtù del perfetto stato di conservazione, quasi un miracolo per un’opera eseguita nel primo ventennio del Cinquecento: sia il supporto, una tavola di quattro centimetri di spessore (mai ridotta e solo impercettibilmente arcuata) sia la superficie pittorica (che dimostra non essere stata sottoposta ad interventi di pulitura da svariati secoli, e forse addirittura mai toccata) si presentano infatti integri lasciando immaginare, sotto l’antica vernice fortemente ingiallita ma ripristinabili una volta che l’opera venga sottoposta ad una precisa ed accorta pulitura, lo splendore dei colori, con toni luminosi nei bianchi e nelle lumeggiature sui piviali, nei verdi acidi della tenda, nei gialli dei riquadri del pavimento e nei bianco-azzurri di parti delle vesti.
Le opere certe di Pietro Grammorseo, pittore rarissimo, si contano sulle dita delle mani. Il corpus dell’artista è stato oggetto di particolare studio da parte di Giovanni Romano nel suo fondamentale Casalesi del Cinquecento L’avvento del manierismo in una città padana, Torino, 1970, che del pittore non esita a dire “Con il grande dipinto della Sabauda il Grammorseo sembra portare la sua ricerca personale a un confine in pratica invalicabile, a meno di non possedere il genio visionario di Grünewald &
8230;” (G. Romano in: Casalesi del Cinquecento cit. p. 35).
L’opera di collezione Vezzosi, riemersa anni addietro dal mercato estero dove era passata senza attribuzione, è stata riconosciuta al pittore da Alessandro Bagnoli che la pubblicherà in sede scientifica. Essa si qualifica come un ritrovamento eccezionale essendo la parte sinistra di un polittico che, perduta la tavola centrale, (forse una Madonna col Bambino), ha nel Musée des Beaux-Arts a Besançon il laterale destro ove sono raffigurati i santi Giovanni Battista e Lorenzo.
Il nostro dipinto, oltre che andare ad aggiungere un importante tassello alla perduta composizione, si rivela fondamentale alla comprensione dell’intera opera e della sua spazialità: il laterale di Besançon ci è infatti pervenuto tagliato praticamente per metà in senso orizzontale, con i santi ridotti a tre quarti di figura: la tavola decurtata misura cm 63,5x49, e conserva dunque quasi interamente la sua larghezza. Nonostante un mediocre stato conservativo riguardante anche il fondo, resta ancora parzialmente leggibile lungo il margine superiore del frammento il drappo fissato da chiodi che, nel nostro dipinto, disegna una serie di arcate sopra le teste dei due santi, anticipando una soluzione che nel pannello con i Santi Antonio e Defendente ora alla Galleria Sabauda dal polittico in S. Francesco a Casale Monferrato l’artista vorrà declinare in modo ancor più originale e bizzarro.
Documentato per la prima volta a Casale Monferrato nel 1521, quando si accorda con il suocero Francesco Spanzotti, fratello di Martino, per la condivisione dell’attività della bottega, Pietro Grammorseo è presente in città fino al 1527 e risulta già morto nell’estate del 1531. La sua produzione attualmente nota e quella documentata da fonti e pagamenti è circoscritta tra il 1523, data del polittico con il Battesimo di Cristo dipinto per S. Francesco a Casale su commissione di Margherita de Guiscardis (Torino, Galleria Sabauda) e il 1526 iscritto sulla Concezione della Vergine già nella parrocchiale di Boscomarengo e ora nella National Gallery di Dublino. Le opere casalesi furono viste da Luigi Lanzi nel 1793, dieci anni prima che le soppressioni napoleoniche disperdessero il patrimonio ecclesiastico di Lombardia e Piemonte, e descritte con maggiore dettaglio nel Ritratto della città di Casale del canonico Giuseppe De Conti del 1794. Insieme ai documenti pubblicati da Alessandro Baudi di Vesme, queste fonti hanno consentito a diversi studiosi di cose piemontesi (Vittorio Viale, Anna Maria Brizio, Noemi Gabrielli) e in particolare a Gianni Romano e da ultimo a Simone Baiocco di ricostruire la produzione del Grammorseo, consistente in polittici spesso firmati nelle tavole principali ma invariabilmente smembrati e dispersi rispetto al luogo di origine.
È importante sottolineare come la pala ancora frammentaria, della quale fanno parte i due laterali – di Besançon e Vezzosi – è la prima opera conosciuta del pittore fiammingo(?)-italiano, quindi di rilevante interesse per la corretta comprensione dello sviluppo di questo misterioso ed affascinante artista che seppe volgere in un linguaggio personale e di altissima qualità elementi düreriani, piemontesi e leonardeschi. “Se proprio dovessi immaginare un primo avviamento di Grammorseo nella terra di origine lo penserei in un ambiente più tedeschizzante, tra Joos van Cleve e Jacopo de’ Barbari. Soprattutto il dürerismo addomesticato di quest’ultimo può aver interessato il giovane pittore, e se ne può trovare forse qualche traccia nella sua prima opera nota: intendo questi due santi a mezza figura che ho conosciuto attraverso una fotografia Bulloz (n. 15 407, ancora con la vecchia attribuzione al Bergognone), e che al Museo di Besançon ho già trovato esposti col giusto nome suggerito anni fa da Roberto Longhi” (G. Romano in: Casalesi del Cinquecento cit. p. 28).
È da notare, a questo proposito, la propensione di Jean Gigoux (Besançon 1806-Parigi 1894) collezionista originario del pannello compagno del nostro nel museo di Besançon, per la pittura fiamminga e tedesca del primo Cinquecento: oltre alla celebre Ebbrezza di Mosè, opera estrema di Giovanni Bellini, tra i dipinti della sua raccolta legati al museo si contano ad esempio diverse opere di Cranach e, per una coincidenza che riconduce al nostro luogo di origine, due coppie di angeli di Gaudenzio Ferrari, frammenti di una pala del Cinquecento piemontese.