Giovanni Comin
(Treviso 1647 circa - Venezia 1695)
INVERNO E AUTUNNO
terracotta patinata, Inverno cm 49x16,5x13,5, Autunno cm 51x20x14
All’Inverno già pubblicato da chi scrive nel 2007 (Andrea Bacchi, scheda in Jacopo Sansovino, Annibale Carracci ed altri contributi, Firenze 2007, pp. 72-79, cat. 7) si è aggiunto ora un Autunno riferibile sempre al veneto Giuseppe Comin. Le due terrecotte sono senz’altro riconducibili all’area veneta, con una datazione alla seconda metà del Seicento, ma rispetto all’irrefrenabile, capricciosa e traboccante vena barocca del caposcuola degli scultori attivi nella Serenissima in quella stagione, il fiammingo Giusto Le Court, e, almeno in parte, anche dei suoi allievi ed imitatori più diretti, quali ad esempio Enrico Merengo e Michele Fabris detto l’Ongaro, queste due figure di Stagioni appaiono più salde e composte. Le profonde pieghe del panneggio dell’Inverno, pur nel loro pieno, magmatico plasticismo, non presentano quei tipici svolazzi che sono una cifra caratteristica del linguaggio di Le Court, quasi la sua maniera fosse qui trattenuta e frenata da un latente classicismo. Utile, in questo senso, è il confronto fra l’Angelo annunciante del fiammingo in San Lorenzo a Sebenico e quello in tutto simile, ma assai più composto soprattutto nel panneggio, nella Cappella Ballarin di San Pietro Martire a Murano, recentemente riferito a Comin proprio per una “serie di ‘timidi’ accenti classicheggianti” (Tamir Tuli&
263;, Per Giovanni Comin: l’arredo marmoreo secentesco della cappella Ballarin a Murano, in “Arte Documento”, 25.2009, p. 166). La stessa pacatezza caratterizza gli Angeli, sempre in marmo, sul timpano di un altare nella chiesa abbaziale di San Paolo d’Argon, presso Bergamo (Giuseppe Sava, Scultori veneziani del Sei e Settecento a Brescia e a Bergamo: Giovanni Comin, Pietro Baratta, Antonio Gai, in “Arte veneta”, LXXII, 2015, pp. 202-203). Man mano che si accresce il corpus di opere di questo scultore veneto è più facile metterne a fuoco la cifra stilistica, caratterizzata appunto da un’adesione con riserve al pieno barocco lecourtiano: sembra quindi riconfermabile il riferimento a Comin dell’Inverno e dell’inedito Autunno qui presentati. È possibile che si trattasse di terrecotte preparatorie, tanto rifinite da essere indicate come modelletti di presentazione, per statue da giardino raffiguranti tutto il ciclo delle quattro Stagioni. D’altronde Tommaso Temanza (1705-1789) nel suo Zibaldon appuntava che Giovanni “non faceva altro, che modelare e le Statue in pietra le facevano due suoi giovani uno chiamato Onghero di nazione tedesco e l’altro Giacomo Femenuzzol veneto” (Tommaso Temanza, Zibaldon, a cura di Nicola Ivanoff, Venezia-Roma 1963, p. 101): la produzione di terrecotte di Comin doveva insomma essere assai notevole, e se fino ad oggi non ne sono state ancora identificate questo si deve senz’altro al fatto che il collezionismo di terrecotte a Venezia non sembra fosse altrettanto diffuso ed articolato quanto a Roma. È davvero significativo, in fondo, che una delle più notevoli attestazioni di una fortuna anche commerciale di terrecotte venete di età barocca sia in una lettera di Quintiliano Rezzonico a Livio Odescalchi (1680): la vendita dei “bellissimi modelli in creta fatti dal medesimo Giusto”, appena defunto (Marco Pizzo, “Far Galleria”: collezionismo e mercato artistico tra Venezia e Roma nelle lettere di Quintiliano Rezzonico a Livio Odescalchi, in “Bollettino del Museo Civico di Padova”, LXXXIX, 2000, p. 52, nota 23), veniva implicitamente proposta ad un grande collezionista romano. Ed in ogni caso, quei modelli, seppure ‘bellissimi’, erano rimasti nella bottega dell’artista, magari come materiale di lavoro, fino alla sua morte, non andando ad alimentare prima il collezionismo locale.
A.B.