Placchetta autografa in argento, fusione a cera persa, cesellata a freddo
13,7 x 10,3 cm, peso 279 g.
Iscrizione : OP. MODERNI
Opera accompagnata da Attestato di Libera Circolazione
Esemplare straordinario e di eccezionale rarità.
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“Saggio critico”, “Analisi scientifica”, “Scheda scientifica”
Scoperta nel 2019 ed esposta dal 2021 nel Museo di Palazzo Grimani a seguito della richiesta del Polo Museale Veneto, la splendida placchetta in argento posta all’incanto da Bertolami Fine Art rappresenta un importante contributo agli studi sul raffinato maestro - uno dei più insigni medaglisti del ‘500 - che si firmava come “Il Moderno”.
Descrizione
Due sono gli aspetti che caratterizzano il raffinato rilievo in argento raffigurante la Flagellazione di Christo : la maestosa costruzione dello spazio prospettico e la straordinaria quantità di citazioni dall’antico.
La drammatica narrazione dell’episodio si concentra tutta nella parte inferiore del rilievo, affollata di personaggi che, in uno spazio ristretto, sovrapponendosi l’uno all’altro, si accalcano attorno al fulcro visivo di Cristo, asse compositivo di tutta la concitata scena. La figura nuda del Salvatore, così come la posa, appaiono palesemente esemplate su quella del Laocoonte, anche se qui le braccia risultano funzionalmente legate a una colonna corinzia. Di fatto la resa anatomica, la posizione del corpo nudo, con la gamba sinistra tesa e la destra piegata, costituiscono delle dirette citazioni. In primo piano, ai due lati del Cristo, disposti simmetricamente su diagonali divergenti, due aguzzini, realizzati in altorilievo particolarmente incavato, brandiscono il flagrum romano . Quello di sinistra, rivolto verso l’osservatore, con elmo e lorica, sembra riprendere la stessa posizione di Cristo: la gamba sinistra allungata e la destra piegata a caricare il colpo di frusta. Il gesto viene di nuovo ripetuto dall’altro flagellatore, in questo caso colto di spalle, completamente nudo, privo di copricapo, con i capelli mossi dal vento, nell’atto di protendersi in una posizione di affondo esasperato, quasi una spaccata acrobatica: qui la straordinaria precisione anatomica con cui viene resa la tensione muscolare del gesto, oltre allo stile del Mantegna e ai modelli antichi, cui certamente il Moderno guardò, potrebbe richiamare anche gli studi anatomici di Leonardo per la Battaglia di Anghiari . Tutto intorno, in uno spazio ristretto, si accalcano ben altri nove carnefici nelle pose più disparate, tutti con armatura romana. Certamente, in questo sovrapporsi e aggrovigliarsi di corpi, il Moderno riprende e rielabora gli schemi compositivi delle scene di battaglia dei sarcofagi o dei rilievi architettonici romani, organizzati per blocchi di figure simmetriche e per registri sovrapposti. Ad accentuare maggiormente il pathos della drammatica e concitata scena concorre la monumentale architettura classica, che occupa tutta la parte superiore della placchetta: sullo sfondo aperto e vuoto le due grandi arcate sbreccate, impostate su un ordine gigante di pilastri, introducono ad una sorta di doppia pergola, coperta da cupole.
La personalità artistica del Moderno
Sulla personalità artistica del Moderno, un artista che oggi la maggior parte degli storici identifica con l’orafo e scultore veronese Galeazzo Mondella (Verona 1467-1528), si sono addensati, numerosi studi, che ne hanno messo in luce non solo l’estrema raffinatezza esecutiva della produzione, ma anche la portata innovativa del suo linguaggio, ispirato, sì, all’arte antica, ma assimilato e restituito con una assoluta libertà e originalità, sicché i modelli antichi, nell’opera dell’artista veronese, risultano di fatto superati o, meglio, reinterpretati attraverso la lente di una nuova e “ moderna maniera ”. Oltre che nella sua città natale, il Moderno fu attivo nella vicina Mantova, entrando sicuramente in contatto con la produzione ispirata al mondo classico del coetaneo Pier Jacopo Alari Bonacolsi, detto l’Antico (1460ca – 1528). Molto probabili sono anche i rapporti con la corte ferrarese, così come con l’ambiente padovano, mentre di sicuro rilievo risultano essere state le committenze per le grandi famiglie veneziane, come i Cornaro, i Malipiero, i Giustiniani e, soprattutto, i Grimani di Santa Maria Formosa. Documentate inoltre sono le sue frequentazioni con gli ambienti artistici romani dei primi due decenni del Cinquecento.
La critica è concorde nel riconoscere nell’artista veronese, ricordato dal Vasari come intagliatore e valente disegnatore – “ oltre all’intagliar le gioie, disegnò benissimo ” –, uno tra i maestri più raffinati e influenti del suo tempo, espressione di una aggiornata cultura umanistico antiquaria, in diretta concorrenza con l’Antico. E d’altra parte la scelta dell’artista che si firma orgogliosamente come Moderno, in esplicita contrapposizione al Bonacolsi, ne sottende una ben precisa consapevolezza artistica. Il Vasari ricorda, inoltre, un suo viaggio in Francia al seguito di Fra Giocondo.
La Flagellazione del Kunsthistorisches Museum di Vienna e il suo pendant
Va detto che il nostro raffinato altorilievo in argento si presenta come una replica di una placchetta, in argento parzialmente dorato, conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna, di cui riprende non solo le dimensioni (13,7 x 10,3 cm), ma anche la resa dei dettagli decorativi. Tale placchetta e il suo pendant, raffigurante una Madonna con Bambino e Santi , sono unanimemente considerate il capolavoro del Moderno e dal 1954 identificate con i due rilievi commissionati al Moderno dalla famiglia Grimani di Venezia descritti a più riprese da fonti antiche. La scoperta della nostra placchetta, gli studi e le analisi scientifiche su di essa condotti a partire dal 2019 portano però a ritenere che il Moderno avesse tratto dallo stesso modello originale due coppie di placchette autografe, quella conservata a Vienna e quella di cui la nostra Flagellazione rappresenta l’esemplare superstite, essendo andato smarrito il pendant con la Madonna col Bambino.
La committenza Grimani dell’opera
Ancorché non risultino tuttora ben delineati i contorni storico culturali in cui maturò l’importante iniziativa artistica, resta indiscussa la committenza da parte di una delle famiglie veneziane più illustri e potenti del Cinquecento: i Grimani di Santa Maria Formosa, il cui capostipite, Antonio, venne eletto doge nel 1521, alla veneranda età di ottantasette anni.
L’ipotesi maggiormente accreditata vuole l’esecuzione delle placchette a Roma su commissione del cardinale Domenico Grimani, attorno allo scadere del primo decennio del Cinquecento; e comunque in un arco di tempo che va dal 1506, quando fu rinvenuto a Roma il gruppo del Laocoonte, e il 1523, anno della morte dell’illustre cardinale veneziano. A supportare la tesi, avanzata da Douglas Lewis, è stata chiamata in causa la sostanziale vicinanza fisionomica tra il profilo del personaggio maschile, rappresentato in secondo piano nel rilievo della Madonna con Bambino e santi , sopra cui la Vergine stende la mano, con l’effige del cardinale veneziano, così come la ritroviamo nella medaglia eseguita da Vettor Camelio tra il 1513-1516. Tuttavia il confronto del profilo del committente con il ritratto del cardinale Domenico presenta più di un elemento di criticità: se i tratti fisionomici risultano abbastanza prossimi, con la caratteristica curva del naso, non si può non notare come il viso del personaggio nella placchetta sembri molto più anziano. È comunque certo che di un personaggio di casa Grimani si tratti. A fronte di ciò, recentemente è stata avanzata la proposta, supportata da raffronti con le immagini conosciute di Antonio Grimani, di identificare il personaggio rappresentato di profilo, non con il cardinale Domenico, bensì con il padre di questi. Se così fosse, l’avvio dell’importante commissione dei due rilievi coinciderebbe con la rinascita pubblica di Antonio condannato al confino perpetuo dopo la cocente sconfitta subita ad opera dei Turchi nelle acque dello Zonchio (12 agosto 1499) e richiamato in patria solo all’indomani della disfatta di Agnadello (maggio 1509). Se così fosse, l'impulso all’esecuzione dei due preziosi rilievi sarebbe da ancorare tra il 1509 e il 1515, nel periodo in cui il processo di riabilitazione e riscatto politico e sociale di Antonio Grimani si era da poco compiuto e l’iniziativa artistica andrebbe pertanto inserita all’interno di quella raffinata operazione di ricostruzione e celebrazione della figura, del prestigio e dell’onore di Antonio e della famiglia Grimani.
Il programma iconografico dei due rilievi, incentrato sui temi della Salvezza e della Redenzione dell'umanità grazie al Beneficio di Cristo, potrebbe tuttavia aprirsi anche a un orizzonte più ampio. Infatti, la molteplicità di significati sottesa alle due invenzioni del Moderno risulta altresì segnata dalla drammatica contingenza storica veneziana. Commissionate negli anni immediatamente successivi alla disfatta di Agnadello che mise in pericolo l’esistenza stessa della Serenissima, quando, dopo i tragici eventi, la vitalità e la ferma volontà di riscatto della città lagunare prese forma visibile negli interventi sui luoghi simbolo della Repubblica, promossi per l’appunto dall’allora procuratore di S. Marco, Antonio Grimani, la Flagellazione , così come la Madonna in trono col Bambino , sembrano voler dar voce a una più profonda aspirazione, a una più ampia promessa di rinascita e riscatto, di salvezza e redenzione. Chiaramente esplicitato risulta il programma iconografico nella Flagellazione, connotato da un forte cristocentrismo e che proprio per le profonde valenze spirituali, connesse a quella che in anni successivi venne definita la teologia della croce, non poteva che essere il riflesso dell’universo culturale e spirituale della committenza. Pensiamo innanzitutto al cardinale Domenico, sicuramente partecipe a un umanesimo interpretato in modo etico e religioso, sensibile alle istanze di rinnovamento della Chiesa – prova ne sia l’entusiasmo con cui accolse a Roma, nel 1509, Erasmo da Rotterdam –; ma anche al padre, Antonio, che della fede nel potere salvifico della croce aveva fatto la sua insegna di battaglia: prima dello scontro navale dello Zonchio, aveva ordinato infatti di innalzare, “ in ardenti prelio ”, il vessillo con la croce, anziché lo stendardo di San Marco.
EÌ€ pur vero che tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento tali temi avevano trovato una grande diffusione nella città lagunare; resta il fatto che del tutto originale e innovativa rimane l’invenzione compositiva della placchetta, così come assoluta risulta la modernità del linguaggio. Al di là della complessa cultura figurativa del Moderno, aggiornata e permeabile alle suggestioni di artisti a lui contemporanei – indiscutibile anche il ricordo delle sperimentazioni linguistiche di Raffaello –, e nel contempo capace di fondere i motivi offerti dall’arte antica in un linguaggio del tutto originale e indipendente, resta il fatto che l’interpretazione del tema dell’uomo dei dolori tocca qui una delle sue più intense espressioni. Come ben aveva osservato Blume, la sovrapposizione del sacerdote troiano con il figlio di Dio assume nella Flagellazione Grimani un valore simbolico che va ben oltre la citazione formale: come la morte del Laocoonte sull’altare rappresenta il sacrificio supremo necessario al percorso di fondazione dell’antica Roma – è solo la rovina di Troia e la fuga di Enea che permetteranno la nascita della civiltà romana –, così la passione e la crocifissione di Cristo si faceva mezzo, strumento, per la rinascita sulle rovine del mondo pagano di una Nuova Roma, la Roma cristiana.
Le vicende collezionistiche delle placchette
Dopo complicate vicende, le placchette confluirono nelle raccolte del nipote Giovanni Grimani, il patriarca di Aquileia, che nel palazzo di Santa Maria Formosa riuscì a ricomporre le raccolte familiari. Le placchette trovarono posto nel “nobilissimo studiolo”, uno stipo d’ebano decorato con pietre dure, cammei, bronzi e vasi in terracotta, donato alla Serenissima nel 1592 ed esposto prima nel Vestibolo della Libreria di San Marco e poi nelle Sale d’armi di Palazzo Ducale. Al momento della consegna alla Pubblica Libreria, nel 1593, ne venne steso un dettagliato inventario in cui figuravano, collocati in alto nella grande nicchia centrale, « tre quadretti d’argento figurati, cioè doi grandi dorati et uno più piccolo schietto ». Nel successivo inventario del 1749 la situazione, almeno per quanto riguarda i bronzi, era rimasta sostanzialmente invariata e nella «tribuna in mezzo» si trovavano ancora le tre placchette.
Caduta la Repubblica, nell’ottobre del 1797, quando gli antiquari Bonaventura e Giovanni Meneghetti e Giovan Maria Sasso ricevettero l’incarico dalla Municipalità di redigere una stima degli oggetti ancora esistenti nello studiolo, le tre placchette furono conteggiate tra i quarantadue bronzi. Ad un mese di distanza, il 13 novembre 1797, il bibliotecario Jacopo Morelli, che aveva vivamente sollecitato la Municipalità al fine di ottenere per la Marciana i preziosi oggetti dello studiolo Grimani, assieme al celebre Breviario , non ebbe che trentotto cammei. L’interesse degli antiquari si era dunque concentrato principalmente verso i bronzi, sulla sorte dei quali, scartando la possibilità di una fusione dei pezzi per il recupero del metallo, l’ipotesi più probabile resta quella della dispersione sul mercato antiquariale; anche se non è da escludere un loro possibile riutilizzo come prototipi nella bottega degli antiquari Meneghetti, rimasti celebri per la loro capacità di contraffare medaglie e bronzetti antichi. Certa, comunque, rimane la spoliazione dello studiolo che il primo settembre del 1798, versava in uno stato di completo abbandono: “ Questo studio o scrittoio è tutto logorato e spoliato dei cammei, delle statue ecc”
A sei anni di distanza, nel 1804, un conciso appunto di Jacopo Morelli attesta che nella Sala dello Scrutinio, dove si stavano raccogliendo le opere d'arte destinate ad un progettato Museo, erano stati trovati nello studiolo Grimani « due quadretti d’argento di mezzo rilievo con figure dorate, incastrati in esso scrigno, e si credevano d’altro metallo per essere anneriti. Uno è la Flagellazione e l’altro altra cosa simile. Uno ha OPUS MODERNI .». Nessuna altra osservazione viene aggiunta, e, tuttavia, le stringate note del bibliotecario Morelli, consentirono a Rodolfo Gallo nel 1954 di identificare le due splendide opere del Moderno, raffiguranti la Flagellazione di Cristo e la Madonna con Bambino e Santi , conservate al Kunsthistorisches Museum di Vienna con i quadretti in argento dello stipo Grimani citati dalle fonti.
L’identificazione proposta da Rodolfo Gallo dei due rilievi in argento ritrovati da Jacopo Morelli nel 1804 incastonati nello stipo Grimani con quelli conservati al Kunsthistorisches Museum di Vienna risulta, tuttavia, problematica per più di un motivo. Innanzitutto presenta una incongruenza temporale di non poco conto: le due placchette sono infatti documentate nel nuovo palazzo imperiale a Laxemburg già a partire dal primo novembre 1802, ben due anni avanti la segnalazione di Morelli in Palazzo Ducale a Venezia. Sicché, poiché non vi è dubbio alcuno che almeno due dei tre quadretti in argento che ornavano lo stipo Grimani si trovassero nel 1804 ancora a Venezia, anche se non in perfetto stato conservativo, si può pensare che tra il 1797 e il 1804 nel territorio veneziano, si trovassero almeno due coppie di placchette in argento del Moderno: la prima arrivata a Vienna non dopo il 1802, una seconda ancora documentata nel 1804 nel Palazzo Ducale, e poi dispersa assieme al nobilissimo studiolo.
In secondo luogo, ciò che colpisce nelle placchette viennesi è la loro perfetta integrità e l’alto grado di conservazione, la quasi assoluta mancanza di segni di usura, così come di qualsiasi voglia imperfezione, tanto da sembrare che l’ala del tempo non sia mai passata su queste figure. Sicché, indipendentemente dalla incongruenza temporale, risulta difficile credere che quei due rilievi siano gli stessi che qualche anno prima, nel 1804, giacevano abbandonati, sporchi e tutti anneriti nelle sale del Palazzo Ducale a Venezia, così lontani dal loro antico splendore da non permettere non solo di apprezzarne appieno la qualità esecutiva, ma neppure, almeno a giudicare dalle parole del Morelli, una chiara lettura iconografica: « si credevano d’altro metallo per essere anneriti. Uno è la Flagellazione e l’altro altra cosa simile. Uno ha OPUS MODERNI ». Le due placchette, all’evidenza, durante le drammatiche fasi della caduta della Serenissima avevano sicuramente patito, ed è forse proprio grazie a tale circostanza che si erano salvate dalla prima dispersione del 1797.
Da ultimo, a sostegno dell’ipotesi che le placchette ancora presenti nel 1804 nello stipo Grimani fossero altre rispetto a quelle viennesi vi è un’ulteriore circostanza resa nota nel 1890 da Albert Ilg. Lo storico dell’arte austriaco segnalava come il Consigliere Imperiale russo Lachnicki possedesse nella sua collezione di Varsavia un esemplare in argento del rilievo della Madonna con Bambino e Santi . Il fatto potrebbe avvalorare l’ipotesi che le due placchette neglette e annerite che ancora nel 1804 si trovavano a Venezia incastonate nello studiolo Grimani, non fossero gli esemplari viennesi, ma bensì la presente Flagellazione e il suo pendant con la Madonna con Bambino e Santi che, all’altezza del 1890, si trovava nelle ricche collezioni di Cipriano Lachnicki a Varsavia: verrebbe così superata l’incongruenza temporale tra l’arrivo a Vienna, nel 1802, dei «due bassi rilievi in argento di un lavoro sommamente accurato, e di un merito d'arte squisito» e la successiva segnalazione in Palazzo Ducale del 1804 di Jacopo Morelli.
Tecnica esecutiva e indagini scientifiche
Le indagini scientifiche eseguite sulla presente placchetta permettono di collocarne l’esecuzione ai primi anni del XVI secolo, confermando così la rarità dell’antica manifattura: una fusione indiretta a cera persa in argento massiccio, tratta verosimilmente dallo stesso modello originale utilizzato per l’esemplare di Vienna.
Infatti secondo una scheda tecnica di Lorenzo Morigi, il presente rilievo in argento è frutto di una fusione indiretta: lo spessore del metallo è pressoché uniforme e sul verso, che presenta ben evidenti gli incavi delle figure, sono chiaramente visibili gocce e piccole formazioni sferiche tipiche del raffreddamento dello stato ceroso liquido applicato sul negativo; visibile inoltre l’esecuzione di rinforzi o modifiche alla cera laddove lo strato non si presentava sufficientemente spesso. Inoltre si possono notare in molti punti del retro dei volumi di metallo spianati con uno strumento abrasivo tipo lima, in corrispondenza di quelli che potrebbero essere stati i canali di alimentazione del metallo fuso. Viceversa a causa della parziale usura della superficie, non è stato possibile individuare tracce di lavorazione a freddo.
Sappiamo che l’uso precoce della tecnica a fusione indiretta si era diffuso negli ultimi decenni del XV secolo in area padano-veneta, e in particolare venne precocemente impiegata in ambito mantovano da Jacopo Bonacolsi detto l’Antico, le cui famose targhe figurate, eseguite con una grande precisione tecnica, al contrario della presente versione della Flagellazione del Moderno, presentano il verso scevro da asperità e imperfezioni di sorta. Invero la tecnica fusoria utilizzata in questa placchetta sembrerebbe più affine a quella del magnifico rilievo bronzeo con la Deposizione nel sepolcro , oggi conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna, eseguito intorno agli anni 1470/1480 da un maestro orafo, sempre di ambito mantovano, forse su modello di Mantegna, nel cui verso sono presenti molte concavità ed irregolarità a testimonianza di un laborioso processo di aggiustamenti e rinforzi, dovuto a difetti della fusione stessa; almeno tre aree sono state riparate con calchi successivi: la mano di Cristo, la testa del guerriero seduto, i busti e le teste della Vergine e della pia donna vicina.
Come nella Deposizione nel sepolcro , anche nella presente versione della Flagellazione Grimani si osservano alcuni difetti di fusione: al centro della colonna cui è legato il Cristo si nota un tassello, forse in punzone o un marchio, inserito dopo la fusione come confermato dalla presenza di una traccia di ribaditura sul retro in corrispondenza del tassello; nella parte più alta della colonna cui è legato il Cristo e sulla lesena del lato destro, la superficie presenta difetti riparati successivamente con inserimento di piccoli tasselli di argento, che non sono stati rifiniti; sotto l’arcata della volta di destra si nota infine una sottile fessura diagonale, una cricca non rilevabile sul verso del rilievo, in cui si nota un maldestro tentativo di riparazione. E, tuttavia, sia i tasselli d’argento non rifiniti che il maldestro tentativo di riparazione risultano successivi e non certo ascrivibili all’antica e raffinata manifattura e potrebbero collocarsi tra il 1850 e il 1970.
Infatti, se da un lato le indagini eseguite attraverso misure di fluorescenza X (XRF), presso il Centro Ricerche sul Dipinto Divisione della C.S.G. Palladio S.r.l (coordinatore dottor Fabio Frezzato), hanno permesso “di ricondurre la composizione della placca – argento contenente impurezze di rame e di oro – a una manifattura antica e compatibile con il dato stilistico”, nel contempo sempre le misure di fluorescenza X(XRF), proprio in corrispondenza del fusto della colonna centrale, in cui sono presenti i grossolani tasselli, hanno fatto registrare significativi ratei di conteggio di zinco e cadmio, e, inoltre, nella stessa zona, il rame è risultato presente in percentuale significativamente più elevata rispetto alle altre zone indagate. Secondo Fabio Frezzato, è del tutto verosimile che per la riparazione dei punti danneggiati si sia ricorso ad un amalgama, in uso tra il 1850 e gli anni Settanta del Novecento contenente rame e cadmio.
Resta il fatto che i successivi interventi, pur chiaramente visibili, non intaccano, se non in minima parte, l’eccezionale raffinatezza esecutiva dell’opera che, nel trattamento delle superfici, nel sicuro e attento modellato delle figure, così come nella cura dei più minuti dettagli decorativi, come si è più sopra visto, è accostabile più che alle repliche in bronzo, all’esemplare viennese, di cui ripete anche le misure: 13,7 x 10,3 cm., al netto della cornice, le misure della presente placchetta, a fronte di quelle del rilievo viennese di cm 13,8 x 10,2. Ciò esclude, dunque, che le due placchette possano essere state eseguite attraverso una fusione indiretta, ottenuta una dal calco dall’altra: R.E. Stone stima, infatti, che nelle fusioni indirette, in cui si sommano i restringimenti dovuti al duplice passaggio necessario alla formazione dell’ inter-model da utilizzarsi per il getto, la riduzione di misure sia intorno al 5%.
Tutti gli elementi più sopra riportati e discussi ci inducono a riconoscere nella presente Flagellazione Grimani una fusione cinquecentesca autografa, tratta dallo stesso modello originale utilizzato per l’esemplare di Vienna. Le piccole differenze che si possono riscontrare tra i due rilievi non possono che confermare, non solo che il modello originale – oggi perduto e non necessariamente in cera, forse in gesso o in argilla o forsanche in pietra tenera – dovette essere il medesimo, ma anche che la lavorazione di quello che Richard Stone definisce inter model, ovvero il modello intermedio in cera da utilizzare nella fusione, in entrambi i casi conobbe la mano dell’artista, che lo rifinì di tutti i più minuti dettagli decorativi, compresa l’iscrizione con la rivendicazione della paternità dell’opera – OP. MODERNI risulta inciso in entrambi i rilievi sulla base della colonna ai piedi di Cristo – ; apportandovi, anche, quegli aggiustamenti, quelle piccole variazioni nel modellato, in grado di conferire ai due rilievi una propria, specifica e peculiare connotazione espressiva.
Se in generale si può dire che l’espressività dei personaggi appare maggiormente accentuata nell’esemplare viennese, è soprattutto nel volto di Cristo che si riscontrano le maggiori divergenze interpretative. Nella presente versione vi è sicuramente una maggiore austerità e compostezza: la testa, quasi abbandonata sulla destra, sembra maggiormente reclinata, mentre la barba e la folta capigliatura che incorniciano il viso dolente del Cristo, risultano più contenute e misurate. Nell’esemplare viennese, poi, la bocca aperta, così come gli occhi rivolti verso il cielo e le sopracciglia fortemente contratte conferiscono un’esasperata espressività al volto, accentuando in tal modo la drammaticità della narrazione. Viceversa nel presente rilievo il volto di Cristo, decisamente più scarno e asciutto, viene reso con misurato naturalismo, lontano da ogni esasperazione espressionistica, la bocca appena socchiusa e lo sguardo mestamente abbassato in un’espressione di rassegnata accettazione.
Certamente, se la finezza della lavorazione dell’argento accomuna le due placchette, la sfarzosa doratura che riveste, ad eccezione degli incarnati, il rilievo viennese costituisce la prima e più eclatante differenza con la presente versione che, viceversa, si presenta priva della preziosa finitura; un fatto che già di per sé potrebbe essere interpretato come una precisa scelta stilistica di semplicità e rigore; sempre che, beninteso, non possa essere stata causata dall’usura del tempo e dalle travagliate vicissitudini collezionistiche. La splendida doratura del rilievo viennese, con il sapiente contrasto tra parti dorate e argentate, la perfetta integrità, l’eccezionale grado di conservazione, la mancanza quasi assoluta di segni di usura, così come di qualsiasi voglia imperfezione, costituisce sicuramente la più netta differenza con il presente rilievo in cui, viceversa sono ben visibili i segni dell’usura del tempo, piccole imperfezioni, sbavature unite ad alcuni difetti di fusione. Va detto però che segni, imperfezioni e difetti di fusione sono perfettamente compatibili, sia con le travagliate vicende collezionistiche, sia con la tecnica della fusione indiretta, introdotta e sperimentata in area lombardo-veneta solo a partire dalla fine del XV secolo. Così, come nel caso della Deposizione di Vienna , ma anche in altri rilievi databili tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo, si riscontrano comunemente crepe superficiali, incertezze di lavorazione, imperfezioni o difetti di fusione, oltre che, naturalmente, marcati segni di usura.
PROVENIENZA Collezione cardinale Domenico Grimani (1461-1523); poi collezione del patriarca Giovanni Grimani (1506-1593) che la conserva nel suo celebrato “studiolo”, lo stipo d’ebano riccamente decorato in cui conserva la sua raccolta di monete di cui fa dono nel 1592. Dal 1593 lo studiolo con la nostra placchetta è esposto alla Biblioteca Marciana, Venezia; dal 1623 conservato a Palazzo Ducale, Venezia; documentato nella città lagunare fino al 1804, poi se ne perdono le tracce e risulta disperso.
ESPOSIZIONE A seguito della richiesta del Direttore del Polo Museale Veneto, dott. Daniele Ferrara, del 10 marzo 2021, la placchetta è stata concessa con prestito lungo al Museo di Palazzo Grimani, ed esposta all’interno del percorso espositivo “Domus Grimani”.