Provenienza: Collezione Gilberto Algranti, Milano nel 1969.Collezione privata milanese. Collezione Francesco Romano, Roma nel 1973. Collezione privata, Milano.Bibliografia: A. Percy, Bernardo Cavallino of Naples 1616-1656. The Cleveland Museum of Art 1984, pp. 112 e 114, fig. 30-31b (come Santo in preghiera).Nicola Spinosa, Bernardo Cavallino1616-1656, Electa Napoli, 1985, pp. 122-123, fig. A21-22b.Nicola Spinosa, Grazia e tenerezza in posa, Bernardo Cavallino e il suo tempo, Ugo Bozzi Editore, Roma, 2013, p. 323.Da un fondo scuro indistinto, emerge una mezza figura maschile, un santo che si mostra allo spettatore non nello splendore della sua iconografia classica, ma come un uomo comune, avvolto in un manto i cui drappeggi quasi inglobano la forma del corpo, lasciando emergere le mani, appena giunte, con le dita realisticamente appoggiate le une alle altre come in un momento di riflessione: lo sguardo, pensoso, è diretto verso la propria destra, lato da cui ha origine una fonte di luce che irradia l’opera in modo soffuso. Una figura austera, che sembra quasi emergere dalle tenebre, con pochi elementi, all’apparenza, che possano indicarci la sua santità. Come da tradizione caravaggesca, poi magistralmente rielaborata da Jusepe De Ribera, alla cui lezione qui Cavallino sembra rifarsi esplicitamente, la forza estatica e al tempo stesso profondamente “vera” del corpo, dell’umanità delle figure, si impone sulla scena, superando, con la sua semplicità, ogni artificio retorico e ogni complessa allegoria. Bernardo Cavallino rappresenta in un certo modo la sintesi dei percorsi di questi suoi ideali “maestri”, a cui certamente va unito il nome imprescindibile di Massimo Stanzione, una sintesi che permetterà all’artista, nelle parole di Raffaello Causa, di “schiudere alla pittura napoletana il momento lirico della massima emozione”.Il dipinto qui presentato, già noto a Causa come una raffinata opera autografa di Cavallino (indicando, come soggetto, “San Giuseppe in preghiera”) e più volte pubblicato come tela di ubicazione non nota, è riconducibile a una serie eterogenea di altre ‘mezze figure’ di santi su tele di forma ottagonale, tra cui un “San Pietro” e un “San Paolo” di dimensioni maggiori (127x94 cm, già Londra, Spatford Establishment), e un “San Paolo”, un “San Giovanni Evangelista” e un “San Bartolomeo” su tele di forma e dimensioni simili alla nostra (il “San Paolo” già presso il Conte de Muguiro a Madrid). A queste si può aggiungere un “San Simone” (già presso I. e G. Fine Arts International, Londra), su tela ovale che però, sia stilisticamente che per dimensioni, fa supporre una riduzione a partire da una tela forse ottagonale come quella dell’opera in esame. Queste opere, databili agli inizi degli anni ’40 del XVII secolo, sono state poste in relazione diretta con la serie dei “profeti” di Jusepe De Ribera, eseguita tra il 1638 e il 1643 per la Chiesa della Certosa di San Martino a Napoli, ipotizzando forse un vero e proprio omaggio all’artista spagnolo, come avanzato da Nicola Spinosa. Il soggetto del dipinto in esame è stato poi successivamente indicato più precisamente come “San Giuda Taddeo”.