Olio su tela, 80 x 70 cm
1929 Firmato in alto a sinistra: Antonio Mancini di Roma, 1852; datato in basso a sinistra: 1929. Al verso Figura femminile (1929) Iscritto a sinistra dall’alto verso il basso: Antonio Mancini di Roma / 1852 / Napoli Morelli Palizzi Mancinelli Lista / Gemito Michetti Esposito / Mesdag Aja Paris Gerome De Nittis / Degas pastelli veduti al suo atelier / Ballerine / Paolo Bourget già a Napoli veduto / De Amicis a Napoli / Londra Sargent Dublino / Laine direttore / Lady Gregory Ponsonby / Messinger Monaco Berlino / Du Chéne Frascati cittadino / Famiglia/ Studi Story sala Venezia Napoli cittadino / a Minori proseguendo, al centro dall’alto verso il basso: Baca Flor pittore / amico/ peruviano / Casciaro Vetri Sartorio / amici; in basso a sinistra: Accademia d’Italia 1929 . Opera vincolata dal Ministero della Cultura come bene di “interesse particolarmente importante” ai sensi dell’art. 10, comma 3, lett. a) e d) del Codice dei beni culturali. Expertise della Dott.ssa Cinzia Virno: 'Questo autoritratto molto noto di Mancini è una delle ultime opere ed è tra quelle più importanti ed emblematiche dell’intera sua attività. E’ conosciuto come “Autoritratto biografia” poiché la tela è occupata in parte dalla figura del pittore e in parte da una lunga scritta di un rosso brillante realizzata a pennello, che attraverso nomi e vicende narra la sua vita. Si tratta dell’opera in cui riesce maggiormente ad integrare immagine e scrittura, due componenti strettamente legate tra loro in tutto il suo percorso. Il pittore la realizza nello studio all’Aventino, in via delle Terme Deciane a Roma, alla fine del 1929, esattamente un anno prima della morte, probabilmente sentendola vicina. L’artista si rappresenta anziano, seduto in un angolo in basso a destra. Il volto è di tre quarti, lo sguardo puntato verso lo spettatore, mentre con la mano sinistra indica la scritta invitandoci a leggerla. La luce si concentra sul volto e sul camicione chiaro da lavoro, in contrasto con l’ombra scura che avvolge la figura evanescente delimitandone la forma. La maggior parte della superficie, su tutto il lato sinistro e fino al centro, è occupata dalla scrittura, parole o frasi apposte di getto, con una calligrafia sintetica, essenziale e disordinata, come quella che ritroviamo nei diari, negli scritti e nelle lettere del suo archivio. Si tratta di appunti veloci, nomi ed eventi riportati senza alcuna spiegazione, solo elencati con un minimo ordine cronologico. Il pittore sottolinea di essere “di Roma”, nato nel 1852, e non quindi di Napoli come ama ribadire anche in altre opere. Ricorda comunque gli studi fatti nella città partenopea, gli insegnanti: Morelli, in primis, e Filippo Palizzi, Mancinelli, Lista; gli amici e compagni di studi: Gemito, Michetti, Esposito. I viaggi a Parigi dove frequenta Gérôme, De Nittis, e Degas - di cui vede i pastelli messi in vendita nel suo studio – il critico e romanziere Paul Bourget, suo grande ammiratore, già conosciuto a Napoli. Cita, ancora a Napoli, l’incontro con lo scrittore Edmondo De Amicis, l’autore del famoso libro: “Cuore”. Fa quindi cenno alle sue conoscenze anglo americane e ai viaggi in Inghilterra e Irlanda ricordando l’amicizia con John Singer Sargent, che sappiamo lo riteneva “il più grande pittore vivente”, quella con l’irlandese Hugh Lane suo grande estimatore, fondatore e direttore della Galleria d’Arte Moderna di Dublino oggi a lui intitolata, con la zia di quest’ultimo, la scrittrice e drammaturga, Lady Augusta Gregory, e l’antiquario Claude Ponsonby. Ricorda ancora gli studi romani degli Story, famiglia di artisti americani: il padre scultore William Wetmore e i suoi figli Thomas Waldo, anch’egli scultore e Julian Russel, pittore. Studi dove per anni, fu ospitato per dipingere. Menziona quindi i suoi mecenati e principali acquirenti, primo fra tutti il pittore di marine olandese Hendrik Willem Mesdag, suo massimo committente, che aveva acquistato e fatto acquistare molte sue opere diverse delle quali compaiono oggi nell’omonimo Museo “De Mesdag collectie”, de L’Aja. L’antiquario tedesco Otto Messinger, con cui si era recato a Monaco e a Berlino. Il francese Fernand Du Chéne de Vère, per il quale aveva lavorato a Frascati dal 1911 al 1917. Cita poi artisti più giovani che ha frequentato successivamente: Giuseppe Casciaro, Paolo Vetri, Giulio Aristide Sartorio e l’allievo peruviano Carlos Baca Flor. Tra un nome e l’altro indica gli eventi della sua esistenza che ritiene più importanti: la mostra personale alla Biennale di Venezia del 1920 - dove tutte le sue opere erano state vendute - la cittadinanza onoraria assegnatagli da Frascati, Napoli e Minori. Infine l’avvenimento più recente di cui andava fiero: la nomina ad “Accademico d’Italia”, appena ottenuta. Stilisticamente e concettualmente l’opera si rileva di una modernità assoluta, ancor di più se si pensa che Mancini si è formato in un ambiente accademico e in pieno Ottocento. La figura femminile abbozzata al verso, a mezzobusto con un abito scollato, è la nipote Domenica, figlia minore del fratello Giovanni, che posa per lui, come gli altri nipoti, a partire dal 1918.' Cinzia Virno