96x136 cm.
'Enea e Didone escono dal palazzo di Cartagine', olio su tela, entro cornice Provenienza: Collezione privata Roma, già collezione J.H. Weitzner, Londra Bibliografia: Andrea Busiri Vici, Fantasie architettoniche di Alessandro Salucci, Capitolium, 1962, pag. 10, fig. 15-16; Giancarlo Sestieri, Il Capriccio architettonico in Italia nel XVII-XVIII Sec., Vol.III, pag. 228, fig. 13a-13b ll dipinto in oggetto raffigura una delle scene più note della mitologia classica: Enea e Didone che escono dal palazzo di Cartagine. Il soggetto è tratto dal IV libro dell’Eneide di Virgilio, un tema molto caro agli artisti del XVII secolo, che avevano sviluppato una particolare sensibilità per i miti antichi e le loro rappresentazioni scenografiche. La composizione è attribuita congiuntamente ad Alessandro Salucci, celebre per le sue architetture capricciose, e a Michelangelo Cerquozzi, noto per la sua vivace pittura di figure. La monumentalità delle architetture classiche e immaginarie, che dominano la scena, è opera di Salucci, maestro indiscusso delle fantasie architettoniche. Il suo stile, caratterizzato da complesse strutture prospettiche e colonne imponenti, dona alla scena un senso di grandiosità teatrale. Gli edifici, decorati con rilievi e statue, emergono in tutta la loro eleganza, creando un contesto solenne per l’uscita dei protagonisti. La prospettiva porta l’occhio dell’osservatore fino al porto di Cartagine, dove le navi pronte a salpare completano il racconto visivo. Le figure di Enea, Didone e dei loro accompagnatori, invece, sono attribuite a Michelangelo Cerquozzi, che qui esprime tutta la sua abilità nel tratteggiare i personaggi in movimento. Cerquozzi, spesso soprannominato Michelangelo delle battaglie per la sua destrezza nelle scene di guerra e di genere, si dimostra altrettanto abile nel raffigurare momenti di narrazione storica, aggiungendo dinamicità e vita alla solenne architettura di Salucci. L’opera, con la sua combinazione di architettura immaginaria e narrazione mitologica, rappresenta un perfetto esempio della collaborazione tra i due artisti, tipica della pittura barocca romana. Il dipinto è una testimonianza del gusto per il 'capriccio architettonico', un genere in cui Salucci eccelleva e che trovava grande apprezzamento tra i collezionisti dell'epoca.