NORMAN BLUHM
(Chicago 1921 - Vermont 1999)
Medusa
1975
acrilico su carta
cm 59x88
al retro della carta firmato, datato e titolato
al retro della tavola cartiglio Martha Jackson Gallery, New York
al retro della tavola iscritto Sybil / n.15402
“The choice of art in the life of man is, without a doubt, the choice of loneliness in the motion of time, in so far as loneliness or remoteness is but the effort of man to touch that which is beyond the reach of his fingers (...) Nevertheless, there are no tears: even though one lives on the edge of the glass, joy is forever the unknown.”
Norman Bluhm
Norman Bluhm nasce nel 1920 a Chicago. Durante gli anni della guerra si trasferisce a Firenze con la madre e tra il 1937 e il 1941 e tornato a Chicago studia architettura con Mies Van der Rohe. Ritorna a Firenze nel 1946 ed è qua che Bluhm entrerà per la prima volta in contatto con la pittura, in particolare con la tecnica dell’affresco studiata all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Nel 1956 torna negli Stati Uniti, e affitta uno studio proprio nel centro della grande mela. Inizia così la sua carriera artistica, talvolta ingiustamente oscurata, esponendo le sue prime opere alla Leo Castelli Gallery e avvicinandosi, ma sempre mantenendo una propria identità, al movimento degli espressionisti astratti che nasceva negli U.S. proprio durante quegli anni pieni di fermento.
Bluhm è alla costante ricerca dell’essenza di ciò che vede, ciò che sente, non ha paura di riempire la tela e giocare con i colori e le forme accostandoli e mescolandoli con un’apparentemente casuale, ma premeditata, armonia. Dopo le prime opere più gestuali degli anni ’60, è dalla fine del decennio che possiamo notare un completo abbondano di Bluhm alla pittura, al colore e a una modalità pittorica che, sebbene ancora non rappresentativa, è tuttavia altamente evocativa del corpo. È proprio negli anni ’70 che l’artista trasmuta il gesto diretto, derivante dai suoi compagni dell’espressionismo astratto, in qualcosa di più trasversale grazie a linee arabesche fluenti e corsive che definiscono gli spazi del supporto. Basti osservare alcune delle foto o video realizzati in quegli anni mentre l’artista è a lavoro e si noterà un incredibile teatralità nei suoi gesti e pennellate.
La nuova struttura adottata da Bluhm a partire dagli anni ’70, che in può essere definita più matura e indipendente, si caratterizza da forme arrotondate, che si sovrappongono tra loro e che grazie al colore conferiscono profondità e movimento, sviluppato per lo più sul lato lungo del supporto. Bluhm si mette continuamente in gioco sfidando la rappresentazione della figura umana, confrontandosi con l’opera di altri grandi artisti come Jackson Pollock o Arshile Gorky o ancora prima di loro Pablo Picasso con i Nude couché o Henri Matisse con le sue Odalisques. Ma la padronanza delle linee di Bluhm ha radici profonde che convergono dallo studio approfondito dei maestri Rinascimentali e Barocchi come Peter Paul Rubens o il Tintoretto, e che lui stesso ha avuto l’occasione di osservare durante i suoi ripetuti viaggi in Europa. Difatti, Bluhm è riuscito a infondere la tradizione pittorica americana con la cultura Europea occidentale, investendola di una nuova e potente sensibilità.
Da questo connubio nasce un’arte eroica e trascendentale che è in grado di rendere l’energia vitale che risiede all’interno di ogni essere umano e trasmutarla su una superficie. Bluhm ci parla di corpi, passioni, ci racconta la vita in tutti suoi colori e forme e ciò che ne deriva è una pittura è in grado di risanare l’animo e lo spirito di chi la guarda. Davanti alle sue opere lo spettatore assapora quella “ignota felitcità” (rif. cit. joy is forever the unknown).