Bottega di Francesco Mola, sec. XVII
LA VISIONE DI SAN ROMUALDO
olio su tela, cm 36,5x28
Workshop of Francesco Mola, 17th century
THE VISION OF SAINT ROMUALD
oil on canvas, cm 36,5x28
Il dipinto raffigura uno dei soggetti più celebri della produzione di Mola, nota attraverso alcune repliche, numerose copie e innumerevoli variazioni sul tema, prodotte dai seguaci dell’artista, ma anche da suoi imitatori e anonimi copisti. Il prototipo è la tela proveniente dalla collezione Chigi tra il 1660 e il 1663, oggi conservata presso il John Paul Getty Museum di Malibu (Petrucci 2012, n. B97, pp. 366-368, fig. 74). Sono repliche autografe le versioni del Museo del Louvre, della Galleria Doria Pamphilj di Roma e della collezione Exeter a Burghley House, mentre è riferibile alla bottega la redazione dei Musei Vaticani (Petrucci 2012, catt. B97a, B97b, B97c, pp. 368-371). Si conoscono inoltre numerosi schizzi e disegni preparatori per la composizione, conservati negli istituti di grafica di Düsseldorf, Copenaghen, San Pietroburgo, Francoforte, Darmstadt, che documentano la complessa elaborazione progettuale dell’opera, tra le più equilibrate e significative dell’intera produzione dell’artista e del ‘600 romano.
Tra le versioni in piccolo formato la presente si distingue per qualità e per una fedele adesione ai modi del maestro, tanto da indurre a collocarne la produzione nello stretto ambito della bottega del maestro, in diretta visione dell’originale. Infatti l’artista ticinese teneva nel proprio studio, come documenta l’inventario del 1666, “Un San Bruno in tela d’imperatore copia del Mola”, ove per copia si intendeva replica, da far copiare per esercitazione ai suoi allievi (Spezzaferro 1989, p. 52).
Singolare anche la terminazione curvilinea, che è un unicum nel contesto delle variazioni molesche sul tema. L’importanza della provenienza è testimoniata dalla ceralacca rossa con stemma non decifrabile 8si intravede l’ala di un’aquila; Fabio Obertelli che ringrazio, suggerisce che potrebbe trattarsi dello stemma della dogana di Milano) e la scritta a vernice nera sul retro della tavoletta su cui è applicata la tela, che riporta “MOLA /n. 11”.
La composizione esprime lo spirito romantico del Mola, nella predilezione per figure ascetiche immerse in paesaggi crepuscolari, secondo uno spirito panico e di immanenza del divino che lo accomuna a Dughet e Poussin. Lo studio della figura distesa, la complessa elaborazione del panneggio e il neovenetismo della pittura mostrano la consuetudine con Bernini, cui singolarmente era stata attribuita la versione Doria Pamphilj, prima della rettifica di Herman Voss.
Francesco Petrucci