GRANDE VASO A BOCCIA, VENEZIA, MASTRO DOMENICO E COLLABORATORI, TERZO QUARTO SECOLO XVI
in maiolica dipinta a policromia su rivestimento a smalto spesso e brillante; alt. cm 36, diam. bocca cm 16, diam. piede cm 17
A BULBOUS JAR, VENICE, MASTRO DOMENICO AND COWORKERS, THIRD QUARTER 16TH CENTURY
Bibliografia
A. Alverà Bortolotto, Maioliche veneziane del Cinquecento da collezioni private. Paolo Canelli, Milano 1990, n. 20;
R. Perale, Maioliche da farmacia della Serenissima, Venezia 2021, pp. 156-157 n. 148
Bibliografia di confronto
M. P. Pavone, Maestro Domenico da Venezia e la spezieria del grande ospedale di Messina, in “Faenza” 71, 1985, pp. 49-67;
C. Ravanelli Guidotti, Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza. La Donazione Angiolo Fanfani. Ceramiche dal Medioevo al XX secolo, Faenza 1990, pp. 309-311 n.152;
M. Vitali, Omaggio a Venezia. Le ceramiche della Fondazione Cini. I, Faenza 1998;
D. Thornton, T. Wilson, Italian Renaissance Ceramics: a catalogue of the British Museum, Londra 2009, n. 62;
J. Lessmann, Italienische Majolica aus Goethes besitz, Weimar 2015, p. 212 n. 80 e p. 244 n. 95
Il contenitore farmaceutico ha corpo globulare di grandi dimensioni e orlo “gittato”, noto comunemente come boccia, interamente decorato con una veduta con personaggi. Il paesaggio si sviluppa attorno al corpo del vaso con quinte scenografiche costituite da alberi o rocce entro le quali si intravvedono larghi scorci lacustri con alte montagne, un soldato in veste di antico romano che cavalca brandendo una lancia, ed una città turrita con edifici porticati e alte torri appuntite. Sul collo del contenitore una corona robbiana a foglie allungate, con fioretti multipetalo e piccoli frutti.
L’opera, di grande impatto decorativo, è attribuibile all’attività di Domenico de’ Betti detto “mastro Domenico da Venezia” e della sua bottega, attiva tra il 1550 e il 1580. I suoi vasi, dall’inconfondibile policromia caratterizzata da smalti lucenti in cui dominano i gialli, le ocre, gli azzurri e i verdi, recano solitamente cartouches entro le quali campeggiano figure di santi e teste di fantasia, mediati probabilmente da fonti incisorie o pittoriche. Domenico de Betti, che aveva sposato la figlia del vasaro Jacomo da Pesaro, lavora a Venezia presso la contrada di San Polo e la produzione della sua bottega raggiunge grande fama alla fine del Cinquecento, soprattutto per la bellezza dei suoi paesaggi, che Carmen Ravanelli Guidotti nella scheda di un magnifico vaso a boccia della donazione Fanfani ben sottolinea così: «tutto suo poi è il pittoricismo caldo formatosi su influsso della grande pittura locale, cosicché la policromia aggiunge sempre più al disegno una veste ricca, vetrosa…». Il confronto con il vaso del MIC di Faenza, con figure di santi e ampio paesaggio, costituisce un valido caposaldo per morfologia e decoro, ornato con un paesaggio con architetture, rocce e specchi lacustri che molto richiamano quello del nostro vaso.
Nello specifico del nostro vaso il soldato romano e il paesaggio trovano evidenti riscontri nei piatti e nelle forme aperte prodotte dalla bottega veneziana, di cui sono noti alcuni esemplari firmati. Si veda al riguardo l’esemplare pubblicato da Johanna Lessmann, dove la roccia presente nel nostro vaso trova riscontro con l’arco del sepolcro di Gesù. Anche la figurina del cavaliere, così sottile e allungata, ha riscontro sia nei piatti di Mastro Domenico, sia nelle figurette di santi presenti nei vasi. Ancora più prossimo il paesaggio presente sul vaso da mostarda del British Museum (inv. 1852,1129.3), con elementi decorativi comuni soprattutto nelle architetture: anche se il contenitore del museo inglese mostra, a nostro parere, l’intervento della mano di un maestro differente rispetto al nostro, redatto invece con una maggiore sicurezza, a conferma di quanto proposto nella recente pubblicazione di Riccardo Perale che ha studiato proprio l’intervento in bottega di più pittori distinguendo l’opera dei maestri, e inserendo proprio l’opera in studio nella sua pubblicazione.
La più grande raccolta di questa tipologia di vasi farmaceutici, in tutte le declinazioni del repertorio morfologico e decorativo, è conservata presso la Fondazione Cini all’isola di San Giorgio, ma è interessante come nella scheda sopracitata della boccia del Museo di Faenza, Carmen Ravanelli Guidotti accenni a una suggestiva ipotesi proposta da Maria Pia Pavone, riguardo a un’eventuale committenza di alcuni vasi a cura della Spezieria di Messina attorno al 1568. Ancor poco si sa riguardo ad un’eventuale committenza direttamente a Venezia o alla formazione del corredo messinese a seguito di più donazioni in tempi diversi, ma la ricerca di una destinazione specifica per questi corredi e l’effettiva possibilità di un riconoscimento dei vari pittori nella loro realizzazione rende ancor più affascinanti questi imponenti opere.