L'opera è accompagnata dall'expertise di Giorgio Fossaluzza, Venezia, 10 gennaio 2019. Il dipinto si attribuisce in questa circostanza e con sicurezza a Girolamo Brusaferro, del quale si ritiene essere un lavoro significativo. La notevole scioltezza e facilità di stesura pittorica che riguarda anche lo sfondo, i dosati effetti flou o di trasparenza che si aggiungono alla scelta chiarista, sono aspetti peculiari della fase d'attività avanzata del pittore veneziano, quella degli avanzati anni venti del settecento. L'opera qui illustrata attesta ancora una volta che, in questo momento, anche nelle opere da cavalletto destinate a committenti privati, egli sapeva raggiungere quegli esiti più evoluti dimostrati nelle grandi decorazioni ad affresco o su tela per ville (Valier-Loredan, Vascon di Carbonera. Maffetti a Monigo. Wildmann a Bagnoli di Sopra) e per i palazzi veneziana (Barbaro-Curtis), come pure per le chiese (Roncade). È quanto emerge riguardo l'ultima fase del pittore anche dai più recenti ampliamenti al catalogo. In quest'opera allegorica si assiste, dunque, a un'ultima significativa e coerente maturazione stilistica di Brusaferro. Il quale ha come modello di riferimento le espressioni di estenuata eleganza rocaille di Giovanni Antonio Pellegrini, ma anche il senso del grazioso di Jacopo Amigoni. Che si tratti di una conquista della fase tarda lo si comprende ricordando come egli avesse trovato un proprio stile ''partecipando'' dapprima, in successione, quello del suo maestro Nicolò Bambini e poi di Sebastiano Ricci (Zanetti 1771). Solo da ultimo, rispetto a questa sintesi (''partecipazione''), fu in grado di raggiungere la leggerezza rocaille, come si è detto emula di Pellegrini e Amigoni (Fossaluzza 1990, pp. 640-641).Si indicano come punti di riferimento per l'opera qui attribuita il soffitto con Giove e Giunone di Palazzo Pesaro a Venezia e, posta in altro ambiente di tale palazzo, la serie di sette sovrapporte di formato ovale con allegorie di virtù di intento celebrativo. Le opere di recente segnalate in cui l'impianto formale riccesco si scioglie in una pittura alla Pellegrini sono ad esempio la Morte di Archimede di ubicazione sconosciuta e il Giacobbe e l'Angelo di collezione privata (Pasian 2011, figg. 5,6). Il pittore risulta invece ancora ''strutturalmente'' ancorato a Ricci nelle tele anch'esse tarde con Santa Caterina d'Alessandria e Sant'Agnese della Pinacoteca Stuard a Parma (Lucchese 2006). Altrettanto può dirsi per le tele in pendant con Giuseppe venduto dai fratelli e Rebecca ed Eliazer al pozzo (ciascuno cm 112x146) passate di recente da Casati Arte (20 dicembre 2017-6 febbraio 2018), il cui confronto assicura circa la coincidenza tipologica.Da ultimo si fa almeno un cenno al soggetto allegorico del dipinto: la Prudenza, una delle quattro Virtù Cardinali che sono emanazione della Sapienza divina e primo dono dello Spirito Santo. La giovane donna seduta ha i capelli raccolti entro un velo trattenuto da un nastro dorato. Lo stesso velo le scende dalla nuca fin sul seno. Ella indossa una camicia candida sotto la veste indaco e la riveste un mantello di colore rosso aranciato. È seduta mentre si sta rimirando in uno specchio. Quale attributo della personificazione della Prudenza lo specchio sta a simboleggiare la verità, poichè in esso si riflettono le cose passate e future, così da donare saggezza e conoscenza a chi lo guarda. Talvolta è usato (concavo) non solo per conoscere sè stessi, ma anche per poter scorgere i pericoli che possono arrivare da dietro. Il secondo elemento è il serpente attorcigliato alla freccia. Richiama il versetto del Vangelo di Matteo (10,16) che invita a essere prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Simbolo di intelligenza da usarsi contro le avversità e di astuzia lo è anche del tempo. La Prudenza, infatti, è figlia del tempo, ossia dell'esperienza. Il teschio, poi, richiama la Prudenza alla riflessione sulla transitorietà dell'esperienza, la invita alla continua meditazione su questa verità.Bibliografia di riferimento: A.M. Zanetti, Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de' veneziani maestri, Venezia 1771. G. Fossaluzza, Brusaferro, Girolamo, in La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1990, pp. 640-641. A. Pietropolli, Gerolamo Brusafetto dipinti e disegni, Padova 2002. E. Lucchese, Giunte al catalogo di Girolamo Brusaferro, in ''Arte in Friuli, Arte a Trieste'', 25, 2006, pp. 19-22. A. Pasian, Girolamo Brusaferro sacro e profano, in ''Arte in Friuli, arte a Trieste'', 30, 2011, pp. 59-72.