Al retro tracce di scrittura antica. L'opera è accompagnata dalla scheda a cura di Donatella Biagi Maino.I due dipinti si qualificano quali preziose aggiunte al catalogo di uno dei più grandi interpreti della cultura artistica italiana dei decenni centrali del Settecento, il pittore bolognese Ubaldo Gandolfi, venendo inoltre a fare chiarezza sulle difficili questioni dell’uso dei bozzetti, delle repliche d’autore e delle specificità del collezionismo bolognese.Le scritte vergate al sommo dei telai (1), entrambi originali, che indicano in Ubaldo l’autore delle opere corrispondono al vero. I caratteri stilistici dei dipinti infatti le qualificano per autografe per qualità di scrittura, freschezza di segno e velocità d’impressione. sono frutto del superbo talento del Gandolfi che dagli anni sessanta del secolo dei Lumi all’epoca della sua prematura scomparsa - nel 1782, nel pieno della sua maturità artistica - fu eccellente interprete del rinnovamento del lessico della pittura sacra sia nella direzione del nuovo catechismo chiesto dal pontefice della sua giovinezza, il bolognese Benedetto XIV, che del rappel à l’ordre che toccò la pittura a metà del secolo, l’epoca della formazione del pittore, conducendola da un tardivo rococò ad un recuperato classicismo (2). Di quanto asserito ne sono prova due belle e grandi tele che il Gandolfi dipinse per un importante personaggio dell’élite bolognese, l’abate Pier Antonio Odorici (3), tesoriere papale delle provincie dell’Emilia, della Romagna, delle Marche e di Ferrara per la sua notevole collezione, ospitata nel sontuoso palazzo di via Santo Stefano nel cui salone Guido Reni aveva affrescato la Caduta di Fetonte e dove nel nono decennio del secolo sarà attivo il fratello di Ubaldo, Gaetano. Una commissione dunque di prestigio per Ubaldo che da poco, tre/quattro anni - i dipinti per ragioni di stile si possono datare al 1763/64 (4)- era divenuto Accademico del Numero, cioè professore presso quella Accademia Clementina di Pittura, Scultura e Architettura del celebre Istituto delle Scienze di Bologna, istituzione scientifica e artistica tra le più importanti in Europa a queste date. conseguentemente, ma anche in ragione della severa sua vocazione all’arte, si applicò con tutta la forza del suo pensiero e la potente sua inventiva alla resa di due soggetti singolari e non frequenti, incentrati su figure femminili. I dipinti hanno subìto sorte diversa: il primo, che narra l’episodio in cui Gesù impedisce la lapidazione di una donna accusata di adulterio imponendo per lei giustizia e pronunciando, mentre scrive sulla sabbia, le parole (5), è oggi ad Augsburg (6), e lo volli alla mostra dedicata ai fratelli Gandolfi con il pendant, custodito a Bologna presso la chiesa della Misericordia, riunendo la coppia per la prima volta dopo, presumibilmente, due secoli (7). L’opera rimasta a Bologna è ancor più rara per soggetto, e Ubaldo raffigurò secondo un fare grandioso la donna originaria della Cananea che implora Gesù di aiutare la figlia ottenendone dapprima un rifiuto, nonostante le sollecitazioni degli apostoli che Ubaldo impagina concordi nel pregarlo sinché, all’atto di fede e di umiltà della madre che si paragona al cane cui è concesso almeno di cibarsi delle briciole dal desco dei padroni, ottiene ciò che impetra: (8).La maturità stilistica e poetica cui a queste date è pervenuto il grande pittore attraverso un incamminamento perseguito e meditato, che prevedeva lo studio, per il temperamento appassionato di Ubaldo quanto di più intenso e perseguito, dei modelli del grande passato cinque-secentesco, sia veneti che bolognesi e romani, e l’aggiornamento sui raggiungimenti dei contemporanei, segnatamente Ricci, Tiepolo, Mengs e Batoni, gli concede di raffigurare gli episodi evangelici attraverso un linguaggio d’immediata comprensibilità quanto di elegantissima maniera, diretto, eloquente nell’equilibrio delle invenzioni e la compiutezza delle forme. Recuperando le buone regole della più accorta e limpida retorica, in entrambi gli episodi Ubaldo effigia al centro delle immagini il fulcro della narrazione, “perché il riguardante, quanto più presto si può, ravvisi l’oggetto, a cui dee la mente, e la considerazione indirizzare” (9), e ritrae - uso questo termine perché alcuni dei sembianti sono desunti dal vero, giusta la sua vocazione alla resa del naturale - i molti personaggi che commentano in diverse posture ed espressioni i fatti, così da creare una rappresentazione teatralmente efficace e d’effetto. Per pervenire a tanto il Gandolfi si misurò con le difficoltà della composizione attraverso il mezzo a lui più consono, il disegno (10), una tecnica nella quale fu maestro indiscusso (11), per poi procedere a definire i parametri di luce e colore attraverso dipinti ad olio, prove utili alla definizione del colore negli equilibri delle tinte, degli sbattimenti di ombre e luci, realizzando, nell’immediatezza del segno e nel gioco del pennello che, intriso di bianco argenteo, insiste alla definizione dei lumetti incredibilmente preservati attraverso il tempo nella loro squisita lucentezza, due dipinti che si possono credere quasi privatissimi testimonianze di talento: questi bozzetti. A queste prime opere ne succedettero altre, da sottoporre al committente: e sono il bellissimo dipinto oggi presso la Quadreria di Palazzo Magnani di Bologna, il Cristo e la Cananea che rispetto al finito, così come nella tela in questione, presenta una variante nell’architettura di sfondo, non più un edificio in mattoni di segno medievale bensì un’elegante palazzo marmoreo di classica ascendenza, e il pendant, l’Adultera, oggi in collezione privata bolognese, in tutto prossimo a questa tela così come al finito. (1) Cristo e la Cananea: sul telaio, scritta sulla quale è stata applicata una carta in antico che reca la scritta “L… del Vangelo / d’Ubaldo Gandolfi”. Cristo e l’Adultera: sul telaio, scritta sulla quale pure è stata applicata in antico una carta con l’indicazione parzialmente strappata “quadro di… Gandolfi”, che copre parzialmente il cognome dell’artista. (2) Vedi il catalogo della mostra L’Antiquité revée Innovations et résistances au XVIIIe siécle, a cura di G. Faroult, C. Leribault, G. Scherf, Musée du Louvre, Parigi 2010. (3) Pier Antonio Odorici, 1703 - 1785, amministrò su incarico di Benedetto XIV i beni ecclesiastici, e ne ricavò una notevole ricchezza personale, che gli permise di acquistare nel 1743 il magnifico palazzo cinquecentesco già degli Zani, oggi sede della Bonifica Renana, avviandone con l’ausilio del nipote adottivo ex sorore Antonio la ristrutturazione che fu portata a compimento negli anni prima della sua scomparsa. Possiamo credere che i dipinti di cui sopra fossero collocati in tale palazzo. Sull’Odorici cfr. A. Giacomelli, La dinamica della società bolognese nel XVIII secolo, in Famiglie senatorie e istituzioni cittadine a Bologna nel Settecento (Atti del I colloquio), Imola 1980, p. 90. (4) D. Biagi Maino, Ubaldo Gandolfi, Allemandi, Torino 1990, pp. 68, 253. (5) La Bibbia di Gerusalemme, Vangelo di Giovanni, 8, 2-11 (Edizioni Dehoniane, Bologna 1974, p. 2286). (6) Stadtische Kunstsammulungen, misura 184 x 250 cm. Vi pervenne nel 1926, come donazione di S. Roher: cfr. G. Gandolfi, scheda siglata, in Gaetano e Ubaldo Gandolfi. Opere scelte, catalogo della mostra a cura di D. Biagi Maino (Cento), Allemandi, Torino 2002, p. 82. (7) Antonio, il nipote dell’Odorici, dissipata la notevole fortuna dello zio, morì miseramente nel 1798 e quindi è ipotizzabile che entro quella data si sia disfatto anche della coppia di dipinti del Gandolfi, che molta eco riscossero in Bologna al loro apparire. Il dipinto è stato donato nel 1988 alla chiesa bolognese di Santa Maria della Misericordia, dove è custodito. misura, come il pendant, 185 x 254 cm. L’antica provenienza si apprende dalle notizie biografiche dedicate al pittore dall’erudito M. Oretti (ms. B. 134, c. 180, Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio). Vedi D. Biagi Maino, Ubaldo Gandolfi cit. 1990, p. 253 e G. Gandolfi, scheda siglata, in op. cit., 2002, pp. 82-83. (8) Matteo, 15, 21-28 (ed. cons. cit. 1974, p. 2122). La donna, che chiede a Gesù di liberare la figlia posseduta da un demone, al suo rifiuto motivato dal fatto che non è della casa di Israele indica l’animale alla sua sinistra dicendogli che anche i cani si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei padroni e lei si accontenterà di ciò che può fare per la figlia. (9) G. P. Zanotti, Avvertimenti per lo Incamminamento di un giovane alla pittura, stamperia Lelio dalla Volpe, Bologna1753, p. 100, in D. Biagi Maino, Ubaldo Gandolfi cit. 1990, p. 67.(10) Si conosce un disegno a penna, inchiostro acquerellato in seppia, già presso la galleria Flavia Ormond Fine Arts (Italian Old Master Drawings 1500-1800, Londra 1996) relativo alla tela con la Cananea: cfr. G. Gandolfi, scheda siglata, in op. cit., 2002, p. 83. (11) Celebre il commento ai suoi disegni di Anton Raphael Mengs, in visita all’Accademia Clementina: “Se quest’uomo dipingesse come disegna, sarebbe un grandissimo pittore” (D. Biagi Maino, Ubaldo Gandolfi cit. 1990, p. 23).