L’opera a grisaille declinata sui toni bruni e seppiati, illuminati da tocchi di biacca, è assimilabile al corpus disegnativo di Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone (1573-1626) o da uno stretto seguace della sua cerchia.Realizzati con tecniche diverse (grafite, carboncino, inchiostro, rischiarati dagli acquerello e la biacca), i disegni testimoniano la prolificità e l’eclettismo dell’artista, unendo il gusto arcaizzante per la pittura tardo manierista con la teatralità barocca e la riflessione sul realismo drammatico di Giovanni Battista Crespi, detto il Cerano (1573-1632).Nato a Morrazzone, da cui l’appellativo, in seguito ad un soggiorno formativo romano presso Ventura Salimbeni e vicino al Cavalier d’Arpino, rientrò in Lombardia a partire dal 1598, divenendo uno dei maggiori artisti lombardi dell’epoca della Controriforma.La sua produzione unisce la fascinazione per il manierismo tosco-romano alla pittura veneta del Pordenone ed all’arte emiliana di Pellegrino Tibaldi, creando opere dal sobrio contenuto scenografico e dal realismo soffuso di pathos in linea con le direttive iconografiche della riforma borromaica e le esigenze devozionali dei Sacri Monti.La scena rappresentata, probabilmente parte di un’opera di più ampio respiro narrativo, sembrerebbe raffigurare un corteo trionfale.Vi sono rappresentati una schiera di cavalieri riccamente abbigliati con abiti databili tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, alcuni tenendo stendardi, in processione presso l’entrata di un edificio fiancheggiato da imponenti colonne di gusto classico.