L'opera è accompagnata dalla scheda a cura di Anna Orlando, Gennaio 2018.Il Prete di Savona, così chiamato per la sua appartenenza al clero oltre che alla scuola pittorica ligure, è senza dubbio uno degli artisti più eccentrici del panorama artistico locale del tardo Seicento. Il che si deve anche alla sua nascita periferica rispetto al centro di produzione artistica, quale era Savona rispetto a Genova, ma al contempo alla sua più naturale vicinanza con la Francia, propria del ponente Ligustico, tale da facilitare un precoce incontro con il rococò d'oltralpe. Conosciuto poi anche grazie alla lunga permanenza a Torino, attivo per i Savoia anche con il fratello Domenico e anche come autore di affreschi.Dopo la carriera ecclesiastica, Bartolomeo esordisce con il padre come decoratore nella sua fabbrica di maioliche. Nel 1680 è già a Genova, ma i suoi viaggi di studio a Venezia e Parma, verosimilmente tra il 1680 e il 1685, spiegano in parte il suo distaccarsi dalla cultura figurativa dominante in ambito locale (quella di Domenico Piola, amico del padre e suo padrino di battesimo), verso una cultura più sofisticata e complessa. Bartolomeo è poi a Torino col fratello tra il 1684 circa (anno del bombardamento francese su Genova) e il 1689, e poi dal 1702 alla morte.La variegata formazione del pittore, e soprattutto la possibilità di confrontarsi con ambiti culturali diversi e assai stimolanti, spiegano la genesi di sue opere spesso divergenti dal filone più tipico della scuola genovese.Bartolomeo Guidobono racconta, ma nega la discorsività di una presentazione semplice e piana: predilige le suggestioni di un incontro con i suoi personaggi che emergono di sorpresa dal buio di fondo, accesi da una luce improvvisa proveniente da una fonte ignota.È il suo singolare e personalissimo recupero del caravaggismo in epoca tardo barocca, per cui la sua adesione alla realtà, e la presa diretta di oggetti e figure nella luce, si carica di un'inquietudine nuova e più moderna: quella del suo tempo.Ne è un esempio eloquente l'inedito qui presentato che gli va riconosciuto per i molteplici possibili raffronti con opere note, che paiono del tutto calzanti.Oltre all'Archimede pubblicato da Mary Newcome come suo nella monografia del 2002, e che ritengo più probabilmente da ascrivere al fratello Domenico, molte figure di vecchi ricordano il volto rugoso del matematico greco protagonista di questa tela o le sue mani dove si legge bene la stanchezza della pelle. Si vedano, per esempio, il Diogene di Collezione Koelliker, il Vulcano accanto a Minerva nel dipinto di collezione privata reso noto da chi scrive nel 2010, o il San Girolamo inedito qui illustrato. Quest'ultimo è un confronto utile anche perchè richiama, come il nostro Archimede all'arte di Giovanni Battista Langetti. Questo artista genovese, di una generazione più anziano del Guidobono, attivo per lo più a Venezia nel circolo dei ''Tenebrosi'', dovette essere osservato attentamente dal Guidobono nel suo viaggio di studio a Venezia, nella prima metà del Seicento, e aver così indirizzato in chiave tenebrosa appunto, il suo singolare post-caravaggismo.Proprio per questi spunti stilistici e culturali è verosimile una datazione del nostro Archimede verso la metà degli anni Ottanta del Seicento, nella prima maturità del pittore.Bibliografia di riferimento: M. Newcome Schleier, Bartolomeo e Domenico Guidobono, Artema, Torino 2002. A. Orlando, Dipinti genovesi dal Cinquecento al Settecento. Ritrovamenti dal collezionismo privato, Allemandi, Torino 2010, pp. 120-124.