Provenienza: Galleria Orler. collezione privata Roma.La pentecoste è la rivelazione del dogma trinitario, è la specificità di cui l'investe la teologia ortodossa rispetto alle altre due feste di carattere teofanico, il Battesimo e la Trasfigurazione, trova efficace illustrazione nella trasposizione iconografica.Le prime raffigurazioni della Pentecoste che provengono dalla Siria e dalla Palestina avevano la stessa struttura compositiva di quelle dell'Ascensione: su Maria in piedi al centro, circordata dagli apostoli, discende il fuoco dello Spirito Santo. Ma con il delinearsi del significato specifico della festa di Pentecoste quale riflessione sulla missione apostolica della Chiesa, anche la formula iconografica era destinata a cambiare.La diversa variante che si imporrà, nelle linee essenziali, come definitiva, si diffonde dalla Cappadocia all'area di Bisanzio dopo il periodo delle lotte iconoclaste, per affermarsi quindi in tutto l'Oriente cristiano. Alla base della composizione vi è il modulo classico del ''ritratto collettivo'', già noto all'arte paleocristiana: un gruppo di saggi siede a semicerchio attorno al maestro. Il ricorso a questa formula riflette l'evoluzione del significato specifico della festività, che si andò delineando come riflessione sulla missione apostolica della Chiesa. Non a caso la disposizione degli apostoli nelle icone della Pentecoste, ovvero della Discesa dello Spirito Santo, è la stessa adottata dall'iconografia dei Concili, che a sua volta riproduce la reale disposizione dei padri conciliari attorno al vescovo, espressione dunque della parità, dell'unicità e della comunione tra i membri del collegio apostolico riunito attorno a Cristo, capo della Chiesa. Tuttavia, nelle icone della Pentecoste, Cristo è assente: Cristo-uomo è già asceso al cielo, la sua natura umana si è immessa nella vita trinitaria. Ma il suo posto vuoto ne indica l'invisibile presenza. Fino al XVII secolo, in tale schema compositivo chiaramente definito si inserisce un personaggio enigmatico, dalla simbologia ricca e complessa: nell'arco scuro dell'ingresso del triclinio vi è un vecchio incoronato, che indossa vesti regali e regge su un panno dodici cartigli. Questo personaggio allegorico compare inizialmente a Bisanzio, dove si diffonde soprattutto nell'epoca dei Paleologhi. Più anticamente, al suo posto veniva rappresentato un gruppo di figure simboleggianti la moltitudine dei popoli, teatro della predicazione apostolica. La più convincente e diffusa interpretazione della figura del vecchio si ricollega alla scritta che sempre lo accompagna: Kosmos, il Cosmo. L'allegoria rappresenterebbe allora il ''principe del mondo'', ancora prigioniero delle tenebre (in molte icone è raffigurato dietro a un'inferriata) mentre i dodici rotoli simboleggerebbero i popoli e gli idiomi del mondo, dunque la predicazione degli apostoli e la missione salvifica della Chiesa. Un'altra suggestiva ipotesi, tra le molte avanzate sull'identità del personaggio, vede nel Cosmo la personificazione dell'universo, secondo il passo evangelico: ''ed egli disse loro: ''andate in tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura''. Tuttavia, nell'evoluzione del soggetto la figura del Cosmo scompare dalle icone della Pentecoste, parallelamente all'inserimento della composizione della Madre di Dio al posto di Cristo, fra gli apostoli Pietro e Paolo. Nell'iconografia russa la presenza della Vergine, residuo del modello più antico del soggetto e rispondente al desiderio di illustrare fedelmente l'evento, non si verifica fino a tutto il XVI secolo. in seguito diviene sempre più frequente, sotto l'influsso dei modelli occidentali, e si introduce definitivamente nel soggetto del seicento. Come nell'icona in esame a volte Mattia prende il posto di Giuda, tra i dodici con l'inserimento degli evangelisti Marco e Luca.Benchè cariche di una simbologia densa, non sempre trasparente, tutte segnate da una tormentata evoluzione, le componenti dell'immagine si organizzano in un insieme sintetico, di ricezione immediata e sicura, garantita in primo luogo dall'assoluta convenzionalità dell'ambientazione. Le più antiche icone della Pentecoste celebrano la stabilità della Chiesa sulla terra, la gloria della missione apostolica, l'elezione degli apostoli, sono raffigurazioni monumentali, rigidamente simmetriche, una sequenza di volti solenni e impenetrabili. Nel XIV secolo l'attenzione si sposta alla rivelazione attiva dello spirito, all'intensità del sentimento e dell'emozione, mostrati nel loro momento culminante. Se nell'Ascensione gli apostoli manifestavano la loro individualità e nella Vergine si realizzava un'immagine della Chiesa, qui essi formano una coralità, una comunione perfetta, ordinata, sono ormai l'espressione matura della Chiesa inondata di Spirito. Ma le lingue di fuoco ''si divisero e si posarono sopra ciascuno di loro''. Ogni apostolo riceve dunque lo Spirito Santo personalmente: lo Spirito si rapporta al principio personale della natura umana, alle singole persone. E l'iconografia russa, nelle sue migliori opere, rende questa diversità nella comunione, dotando ogni apostolo di un proprio profilo nitido e originale, non soffocato, bensì sublimato dal rapporto con gli altri. Come la Pentecoste è fusione di individuale e universale, così la composizione dell'icona è aperta: lo è in alto, verso l'emisfero dei cieli da cui si dipartono le lingue di fuoco, e in basso, nell'arco nero dove languisce nella tenebra il Cosmo. Dall'apertura compositiva traspare il respiro universale della festa che investe anche tutti coloro che sono prigionieri del ''principe del mondo'': una volta all'anno, in questo giorno, la Chiesa prega anche per i suicidi.L'icona si distingue non solo per l'insolita composizione, e per il formato della tavola, ma anche per lo stile pittorico molto preciso e accurato. L'icona probabilmente apparteneva in origine a un gruppo di tavole rappresentanti le grandi festività della Chiesa ortodossa, che occupavano il secondo ordine di una grande iconostasi di chiesa del XIX secolo.