L'opera è accompagnata dalla scheda a cura di Giorgio Fossaluzza. Il santo cavaliere, come di consueto, è rappresentato mentre lotta con il drago che, secondo la leggenda agiografica, sta facendo strage di uomini. Il mostro ne risulterà ammansito, pertanto la principessa che si scorge in secondo piano a destra, tenendolo al guinzaglio, potrà esibirlo nella città dove regna suo padre, rappresentata turrita nell'ultimo piano. La scena è molto studiata dal punto di vista compositivo. Cavallo e cavaliere sono collocati in primissimo piano e assumono una forte evidenza scultorea. Tale risultato è accentuato dall'illuminazione che, condotta radente da sinistra, si concentra sul bianco destriero e sul cavaliere. Le decise capacità compositive dell'autore si desumono anche delle smarginature, specie a osservare in alto l'esuberante piumaggio variopinto dell'elmo e il tergo del cavallo. Tale osservazione permette, inoltre, di congetturare che il dipinto non è stato ridotto. In particolare, non doveva essere dotato della centina che è diffusa nelle pale d'altare. Di conseguenza - e tenuto conto delle misure relativamente ridotte dell'opera - si può pensare che non nascesse come pala d'altare. Non si esclude, pertanto, che fosse destinata alla devozione privata, anzichè a un luogo di culto. Del resto, il dipinto presenta un carattere che si potrebbe definire ''profano'', più che devozionale. Emerge un'interpretazione all'antica del santo cavaliere. Lo si osserva anche nella tipologia classica dell'armatura che il santo indossa, elmo compreso, e nei finimenti della bardatura del cavallo. Questi aspetti, e soprattutto i caratteri stilistici generali dell'opera, consentono di proporre una datazione del dipinto alla metà del Seicento. Si deve fare riferimento a un artista segnato da un'esperienza maturata a Roma o dalla conoscenza della cultura di questa capitale nella fase contrassegnata dal lascito classicistico di Annibale Carracci e degli artisti a lui collegati, ma con qualche interesse secondario anche per il naturalismo e i valori chiaroscurali di ascendenza caravaggesca. Queste due coordinate del classicismo postcarraccesco e di naturalismo mitigano in quest'opera l'esuberanza barocca, come avviene nei maestri di riferimento di questa fase. A fronte di queste osservazioni generali, si propone l'accostamento di quest'opera che è di buona qualità e che si valuta in un buono stato di conservazione, al pittore pugliese Carlo Rosa. Egli assomma, alla data proposta, la conoscenza della pittura napoletana postcaravaggesca a una diretta esperienza romana. Diviene pertanto, nei decenni centrali del Seicento, la personalità di riferimento per la pittura dell'Italia meridionale e, nella fattispecie, pugliese. Nel catalogo dei maestri che furono protagonisti della pittura a Napoli e ai quali Carlo Rosa dovette guardare si possono trovare anche importanti modelli per la composizione di cavallo e cavaliere. Si tratta delle seguenti tele di Andrea de Lione: Apparizione di San Giacomo nella battaglia contro i mori, Salerno, Pinacoteca provinciale. Battaglia tra ebrei e Amaletici e Assalto a una città, Torino, Collezione Nicolis. Si aggiunga, in particolare, il confronto con le seguenti tele di Aniello Falcone, Apparizione di San Giacomo nella battaglia contro i mori, Finarte, Roma 1982, asta 401, lotto 182. Battaglia contro i truchi e soldati romani entrano nel circo, entrambe le opere a Madrid, Museo del Prado. Quest'ultima opera trae ispirazione dalla classicistica Caccia di Meleagro e Atalanta di Nicolas Poussin sempre al Prado. Traduzioni di Carlo Rosa di tali modelli si ravvisano nell'Apparizione di San Giacomo nella battaglia di Clavijo della cattedrale di San Giorgio di Monopoli e nel San Giorgio del Museo dell'episcopio di Monopoli. Per un confronto stilistico utile di propone di Carlo Rosa anche il Davide che danza dinanzi all'arca del Museo Provinciale di Salerno.