LEONCILLO LEONARDI
(Spoleto 1915 - Roma 1968)
Senza titolo
ceramica smaltata
cm 55x22x20
sulla base riportato il numero n. 53
Untitled
glazed ceramic
55x22x20 cm
on the basement written the number n.53
L'opera è accompagnata da dichiarazione rilasciata da Enrico MarcellaiL'opera è pubblicata sul catalogo generale dell'opera di Leoncillo Leonardi
LEONCILLO DEMIURGO DELLA CERAMICA
Leoncillo Leonardi è stato considerato tra i massimi esponenti della generazione del secondo dopoguerra per la scultura italiana, godeva, sin dagli anni ‘40, di grande fama nazionale e internazionale. Alberto Moravia presentò una sua mostra alla galleria della Spiga di Milano e a seguire noti critici come G.C.Argan. Roberto Longhi, Maurizio Calvesi, Palma Buciarelli, Giovanni Carandente e Cesare Brandi dedicarono spazio e parole per consacrare l’abilità artistica di Leoncillo. Il primo ottobre 1946 un gruppo di artisti d’avanguardia sottoscrive il manifesto della Nuova secessione artistica italiana, oltre a Renato Guttuso, Giulio Turcato, Renato Birolli ed Emilio Vedova, partecipa anche il giovane Leoncillo, che aveva già dato prova del suo eccellente e precoce talento. Leoncillo è un personaggio singolare, fuori dagli schemi, feroce con la materia che scava e plasma, quella materia “proletaria” identificatrice di un pensiero politico. Partigiano e comunista convinto, due monumenti ne sono la testimonianza: Partigiana veneta del 1955 ( distrutto nel 1962 per un attentato) e i Caduti di Albissola del 1958. Dopo una lunga stagione vissuta nel segno del post-cubismo, alla metà degli anni ’50 visse una forte la crisi ideologica a causa dell’invasione sovietica dell’Ungheria che lo portò a trasformare la sua arte iniziando a trasformare le sue opere in materia magmatica e corrugata dallo spirito informale. Scava le sue figure verticali, sono incastri e sagome drammatiche ed elementari, dalle coloriture sfumate o decise ( i rossi e i gialli), per donare ancora più ferocemente la drammaticità alla forma. Le potenti sculture come i San Sebastiano fanno pensare a corpi lacerati, piegati e vinti dall’esistenza, sono zolle di terra arata o porzioni di magma che si aprono a mostrare i fuoco che arde sotto i nostri piedi. Leoncillo scrisse nelle pagine del Piccolo diario: “Un nuovo oggetto naturale che divenga con stratificazioni, solchi, strappi che sono quelli del nostro essere, che esca come il nostro respiro. Non più colore quindi, ma materia che ha un colore che diciamo dopo. Non più volume ma materia che ha volume. E la creta diventa materia “nostra” per gli atti che compiamo su essa e con essa, atti che nascono da una reazione del nostro essere, che crescono dalla furia, dalla dolcezza, dalla disperazione, motivati dal nostro essere vivi, da quello che sentiamo e vediamo”.
LEONARDI LEONCILLO nasce a Spoleto il 18 novembre del 1915, sin da bambino si interessa alle arti applicate, il nonno paterno era liutaio, quello materno ebanista; e questo esempio di attitudine al lavoro artigiano influì sulla sua formazione. Conclusi gli studi si trasferì a Roma dal fratello maggiore Lionello, insegnante di lettere presso un istituto religioso S. Maria, la stessa scuola dove insegnò disegno fino al 1939. Risalgono a questi anni giovanili i primi disegni noti dell'artista, caratterizzati da un segno forte e costruttivo. Nel 1936 entrò in contatto con la galleria La Cometa, diretta dal poeta L. De Libero, luogo di incontro degli artisti più giovani e meno compromessi con l'arte di regime: Mario Mafai e Antonietta Raphael, Corrado Cagli, Mirko e Afro Basaldella, Pericle Fazzini e Marino Mazzacurati. L’artista fu notevolmente influenzato da quella che fu definita la scuola romana, continuando però a operare isolato nel suo studio. Nel 1937 espose a Perugia, alla VI Mostra sindacale fascista dell'Umbria, due bassorilievi monocromi ispirati a Fedro: Il cervo e i cani e Il nibbio e le colombe.Nel 1939 lasciò Roma, trasferendosi a Umbertide, in Umbria, dove il 9 luglio sposò Maria Zampa dalla quale ebbe due figli: Daniella e Leonetto. A Umbertide entrò in contatto con la fabbrica di ceramiche di proprietà di Settimio Rometti, che era stata guidata alcuni anni prima da Cagli. Qui perfezionò le sue conoscenze tecniche sui materiali ceramici e sulle cotture e stabilì un rapporto di scambio con Rometti, ceramista a sua volta, presso i cui forni l’artista diede luogo a una produzione di sculture di dimensioni notevoli: l'Arpia, l'Ermafrodito e la Sirena, conosciute anche con il nome di Mostri; il S. Sebastiano, i Suonatori e le Quattro stagioni. Si tratta di terrecotte policrome invetriate, modellate dall'interno per ottenere volumi gonfi, dall'apparenza molle, cui gli smalti conferiscono bagliori improvvisi che accendono la cromia di sapiente tonalismo. Se nella tecnica esecutiva a cera cava Leoncillo si avvicinava a M. Basaldella, nei soggetti mitologici egli palesa un riferimento alla pittura di Scipione. Nel 1940, su invito di Giò Ponti, partecipò alla VII Triennale di Milano, dividendo la sala con S. Fancello, dove vinse la medaglia d'oro per le arti applicate con l'Ermafrodito e le Quattro stagioni, ironici busti dai colori vivaci, che echeggiano le porcellane neoclassiche. Sul finire del 1941, dopo avere evitato la frequenza del corso per allievi ufficiali all'atto della chiamata alle armi, pubblicò a Milano una raccolta di brevi componimenti poetici, il Bestiario (in Orfei), in edizione numerata e illustrata da litografie di F. Clerici. Nel 1942 fece ritorno a Roma, dove fu incaricato della docenza di plastica ceramica all'istituto statale d'arte. Nell'estate dell'anno successivo presentò la serie dei Mostri nell'ambito di un'esposizione collettiva di giovani artisti presso la galleria La Cometa di Roma. Convinto antifascista, il L. si avvicinò dapprima alle organizzazioni partigiane romane, poi si affiliò alla brigata Innamorati, attiva in Umbria. Dal dicembre 1944 avviò una collaborazione con il periodico romano La Settimana, che ospitò suoi disegni e alcuni ritratti di intellettuali. Nel 1946 sottoscrive il manifesto della Nuova Secessione artistica italiana, trasformatosi poi in Fronte nuovo delle arti, il gruppo sostenuto da G. Marchiori espose alle Biennali di Venezia del 1948 e del 1950. Nel 1947 ottenne uno studio all'interno di villa Massimo, a Roma, già sede dell'Accademia germanica, accanto a Mazzacurati, R. Guttuso ed E. Greco, dove risiedette sino al 1956. Nel 1949 la sua prima personale alla galleria Il Fiore di Firenze presentata da R. Longhi. La produzione del decennio 1946-56 si caratterizza per il gusto neocubista di derivazione picassiana. Artista militante, si produsse in temi sociali rappresentando la silenziosa dignità degli umili: Dattilografa e Iminatori. Negli stessi anni andava approfondendo anche il tema della natura morta - genere poco esperito dagli scultori riallacciandosi alla lezione di Boccioni. Nel 1954 alla Biennale di Venezia gli fu dedicata una sala insieme con Lucio Fontana, tra le opere presenti anche Bombardamento notturno, acquisito per le collezioni dello Stato destinate alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma. Nei primi anni Cinquanta partecipò a numerose mostre collettive internazionali come Italy at work (New York, 1950), Italienische Kunst der Gegenwart (Monaco di Baviera, 1950), Nutida Italiensk Konst (Il Novecento italiano: Stoccolma, 1953); fu inoltre presente alla II Biennale della scultura di Anversa; in Italia fece parte ed espose insieme con il gruppo denominato Art Club. Nel 1951 vinse il primo premio per una scultura da giardino alla II Mostra nazionale della ceramica; nel 1953 ottenne il premio acquisto alla I Mostra d'arte di Spoleto e nel 1954 vinse il primo premio al XII Concorso nazionale della ceramica di Faenza con la scultura I minatori.Nel 1957 diede le dimissioni dal partito comunista a seguito dei fatti di Ungheria e come atto di solidarietà verso il senatore E. Reale, espulso in quanto manifestamente contrario alla linea filosovietica togliattiana. Nel marzo 1957 si tenne una personale alla galleria La Tartaruga di Roma. Nello stesso anno realizzò il pannello decorativo per l'atrio della sede dell'Istituto nazionale per la previdenza sociale a Ferrara; a Roma, invece, eseguì una fontana per un complesso abitativo INA Casa a S. Lucia.Nel 1958 espose alla galleria romana L'Attico di B. Sargentini, un connubio tra i due durò sino alla morte dell'artista. Nel 1959 partecipò alla VIII Quadriennale di Roma, nell'ambito della retrospettiva sulla scuola romana, ripresentando l'Arpia e l'Ermafrodito; quello stesso anno vinse il primo premio alla II Mostra nazionale della ceramica e dei lavori in metallo di Gubbio, con Incontro nella miniera, dove rielaborava il tema dei Minatori. In questi anni intensi, il cui percorso è chiarito dalle annotazioni e dalle riflessioni contenute nel Piccolo diario, più volte Leoncillo tornò sulle tematiche giovanili - è il caso del S. Sebastiano - ripensandole in senso aniconico. Nel 1960 E. Crispolti lo presentò alla galleria Blu a Milano, dove espose una serie di Tagli e Fratture. Nel 1960 fu nuovamente presente alla XXX Biennale di Venezia, nel 1961 partecipò a numerose esposizioni internazionali. È del 1962 una nuova, importante mostra personale alla galleria L'Attico. Nel 1967 realizzò, in collaborazione con l'architetto L. Ricci, un pannello decorativo per l'Esposizione universale di Montreal; lo stesso anno vinse il concorso per un monumento per il palazzo della Ragione a Trento (non realizzato). Nel 1968, presente con una sala personale alla Biennale di Venezia, in cui aveva allestito opere dell'ultimo decennio, velò le sue sculture con dei teli di plastica in segno di adesione alle proteste dei giovani artisti.Leoncillo morì a Roma il 3 sett. 1968.