L'opera è accompagna da scheda di Federica Spadotto. Bibliografia di riferimento: E. Martini, La pittura veneziana del Settecento, Venezia, 1964-F. Spadotto, Francesco Zuccarelli, catalogo ragionato dei dipinti, Milano, 2007. Il dipinto in esame ospita un ampio brano campestre con un ruscello presso cui si abbeverano alcuni armenti- accanto a loro spicca una giovane donna a cavallo, alla quale si rivolgono alcuni villani sull'altra sponda. Assai affine all'esemplare zuccarelliano reso noto dal Martini (1964) e già in collezione privata lombarda, ne condivide la provenienza inglese e la cronologia. Per quanto concerne il primo aspetto, infatti, pur non essendo nota l'originaria ubicazione, un cartiglio ottocentesco posto sul retro del telaio registra la presenza della nostra opera oltremanica, ovvero nella nazione che più di ogni altra aveva amato la pittura di Francesco e che ospitò l'artista per lungo tempo (1752-1762- 1765-1771) conferendogli i massimi onori ( il Pitiglianese fu l'unico italiano a fungere da membro fondatore della Royal Academy). Per quanto concerne, invece, la collocazione nel corpus del maestro toscano, significative ed illuminanti caratteristiche stilistico-formali determinano un'altezza cronologica circoscrivibile alla fine degli anni Sessanta, ovvero a ridosso del definitivo ritorno in Italia (1771). A tale conclusione ci porta l'analisi dell'opera, che ospita la piattaforma di referenze legate alla fortunata ricetta arcadica contaminata da un macrocosmo di schietta ascendenza nordica, percorso da umori del tutto estranei al vezzoso rococò, sulla scorta degli esiti della pittura britannica contemporanea. Se l'ispirazione appare strettamente legata ad un bouquet compositivo già frequentato in diverse occasioni a metà del secolo ( cfr. Spadotto, 2007, cat. 57, 107- figg. 1-2), il nostro non manca d'immettervi uno spirito del tutto nuovo, in grado di rivisitare se stesso alla luce di un'arte in continuo confronto con gli umori della propria epoca. Siffatta capacità nell'accogliere suggestioni ha radici molto lontane, che affondano nella giovinezza dello Zuccarelli, quando ancora molto giovane frequenta a Firenze (1728-1732) la collezione di Niccolò Gabburri, che vantava primizie delle maggiori scuole europee grazie al proficuo scambio intellettuale con il Mariette. Guardando il nostro dipinto pare quasi di assistere ad una summa di quanto riferito, poichè entro i confini della tela si 'squaderna' un universo tematico, espressivo poetico caratterizzato da una sintesi ed una consapevolezza che solo un grande maestro sarebbe stato in grado di formalizzare. In siffatto scenario domina il consueto, grande albero dall'ampia chioma che sovrasta i due personaggi in primo piano, percorsi da un accentuato realismo, rievocatore della stagione riccesca (Marco Ricci, Belluno, 1676 - Venezia 1730) frequentata dal Pitiglianese negli anni trenta (Spadotto, op. cit., pp. 16-18). Il registro cromatico, giocato sul contrasto tra l'azzurro del cielo ed i toni terrosi in primo piano, accesi dal drappo rosso su cui è adagiata la fanciulla sul margine sinistro della composizione, testimonia, invece, l'influenza del contemporaneo Thomas Gainsborough ( Sudbury, 1727 - Londra 1788), referente privilegiato per Francesco nel settimo decennio. Come riferito poco sopra, si assiste ad un vero e proprio dialogo tra scuole assai diverse, reiterato dal punto di vista stilistico, dove domina una vera e propria discrasia tra personaggi e sfondo campestre: gli uni, veri e propri sigilli-poetici dell'artista, vengono definiti da una pennellata morbida, ma allo stesso tempo attenta al dettaglio- l'altro, punteggiato dagli abituali edifici rustici, tradisce un'urgenza espressiva già quasi coinvolta nel linguaggio romantico, che in Inghilterra vanta tra le più significative stagioni.