LEONCILLO LEONARDI
(Spoleto 1915 - Roma 1968)
Senza titolo
1957-1959
scultura, in ceramica dipinta e smaltata
cm 30x20x10 con base realizzata dall'artista diam. cm 15
Untitled
1957-1959
sculpture, in painted and glazed ceramic
cm 30x20x10, with base made by the artist diam. cm 15
L' opera è accompagnata da autentica su fotografia, rilasciata da Enrico Mascelloni nel 2014
Bibliografia
Forma della materia a cura di Francesco Stocchi, Fondazione Carriera
“ L’immagine deve nascere da un’evocazione complessa di realtà visiva. Da qui una complessa semanticità dell’opera e non il ricorso più o meno mascherato a ‘leggi’ compositive. E allora il fare stesso, questo fare naturale; l’essere noi produttori di una nuova natura acquista la sua ragione e la sua coerenza. Perché…’comporre’ è imitare un mondo ideale, e ‘fare’ è invece esprimere l’essere.” Leoncillo Leonardi da suo diario 28 agosto 1960
E’ Leoncillo Leonardi stesso nel 1957 a dichiarare che l’artista chiede alla terra la materia per creare e sviluppare la scultura che nasce dalla natura e che ha stratificazioni, solchi, lacerazioni, colore così come è la terra(…)e la creta diventa materia ‘nostra’ per gli atti che compiamo su essa e con essa, … atti che crescono dalla furia, dalla dolcezza, dalla disperazione, motivati dal nostro essere vivi, da quello che sentiamo e vediamo”. (…)
Artista dalla vita breve, morì a 53 anni, fu apprezzato dai più noti critici e letterati, tra questi Alberto Moravia che ne presentò la personale alla galleria della Spiga a Milano, Roberto Longhi che curò la personale alla galleria Il Fiore di Firenze diretta da Corrado Del Conte nel 1954, Maurizio Calvesi e Palma Bucciarelli ma anche C.G.Argan, Giovanni Carandente, Gio Ponti che nel 1940 lo invita alla VII Triennale di Milano nell’ambito della mostra della ceramica e dove vince la Medaglia d’oro per le arti applicate, Raffaele Carriere che nel 1941 presenta il Bestiario corredato di tavole litografiche di Fabrizio Clerici.
Leoncillo, era considerato tra gli artisti il più colto e sensibile, di se amava dire che era semplicemente un ceramista, marcando così la sua alterità rispetto a un ambiente artistico che sentiva poco lontano e artificioso. E la scelta di un materiale povero e primario come la terra era per lui, una scelta di campo anche politica, identificando nella ceramica la più “proletaria” tra le tecniche artistiche. Leoncillo pratica l’arte della materia cresce e prende vita nelle sue mani, creando una tensione fra pulsione e apparente controllo. Impasta, elabora conglomerati verticali e orizzontali in terracotta e in di grès, miscellando colore, forme e luce, in cui il vuoto non è un’assenza ma uno spazio, che consente alla materia di nascere ed espandersi dal negativo. Le sue potenti sculture evocano squarci del corpo e della materia, la forma si ritrae e si espande, porzioni di magma e zolle di terra, forme primordiali che conducono alle origini stesse della materia. Una materia ferita, una ferita più legata alle esperienze di guerra che a concetti naturalistici, fu una vera e propria crisi ideologica, ferita difficile da sanare l’esperienza bellica, che lo portò a intraprende il percorso più informale
Leoncillo Leonardi nasce a Spoleto nel 1915 Leoncillo, frequenta l’Istituto d’arte di Perugia, successivamente l’ Accademia di Belle Arti di Roma sviluppando le prime esperienze nella cerchia della Scuola Romana con Scipione e Mafai. Nel 1939 entra in contatto con le Ceramiche Rometti di Umbertide, dove inizia a realizzare le sculture di grandi dimensioni premiate con medaglia d’oro per le Arti applicate alla VII Triennale di Milano presentato da Alberto moravia nel 1940. Dal 1942 insegna plastica all’Istituto statale d’arte di Roma accanto a Colla e Fazzini. Il suo stile si avvicina al postcubismo, realizza un’ampia serie di ritratti. A Venezia nel 1946 aderisce al Manifesto della Nuova Secessione Artistica italiana. Nel 1954 alla Biennale di Venezia gli viene dedicata una sala insieme a Lucio Fontana. La sua scultura si approccia sempre più verso l’astrazione. Del 1955 realizza il Monumento alla Partigiana per il comune di Venezia, in ceramica policroma, posizionata su basamento di Carlo Scarpa, dedicata alle donne che hanno combattuto per la libertà, opera realizzata in due esemplari e che venne distrutta durante un attentato nel 1961, La prima versione, quella con la sciarpa rossa, nel 1955 partecipa alla VII Quadriennale Nazionale d'Arte di Roma e nel 1964 viene acquistata dal comune di Venezia e conservata alla Galleria internazionale d'arte moderna Ca' Pesaro. Il monumento - Ai caduti di tutte le guerre - per il comune di Albisola, commissionato nel 1955, viene collocato sul lungomare nel 1958. Vince il Premio Spoleto sia nel 1953 che nel 1958. Nel 1957 espone alla Galleria La Tartaruga di Plinio De Martis in catalogo esprime le ragioni dalla sua adesione all'informale e al neorealismo: «[...] Ma è solo dopo aver visto qualche cosa, magari tanti anni fa, che sento il bisogno di parlare: la pelle lucida e umida di un albero giovane dove poi ci sono tutti buchi scuri, o il nero che sta dietro la casa e che viene invece davanti dopo aver girato dappertutto, o una figura che la luce gli distrugge tutto il volto ed ha delle ombre sottili che gli scorrono addosso come rigagnoli. Tutte queste cose le capisco bene. E quando ho visto questo, l’immagine viene dentro e prende la faccia di tutti quei sentimenti esaltati che ci agitano sempre, e prendono il senso della gioia esultante che vorremmo, o della nostra tenerezza ferita o dello scuro e fermo riposo ove vorremmo avere pace. E ora si tratta di trovare una forma uguale a questa immagine, una forma, un colore, una materia». Gli ultimi anni ’50 riflettono un operare in continuo crescendo verso la drammaticità, sculture che alludono a figure martoriate, scavate e originate da tagli verticali di porzioni di materia. A Spoleto nel 1961 promuove la fondazione dell’Istituto Statale d’Arte che ora porta il suo nome. Espone al V Festival dei Due Mondi di Spoleto opere in grés bianco e nel 1968 alla Biennale di Venezia.