PIATTO, GUBBIO, FRANCESCO URBINI NELLA BOTTEGA DI MASTRO GIORGIO ANDREOLI, 1531-1536 CIRCA
in maiolica decorata a policromia con blu, verde ramina, bruno di manganese, blu di cobalto, giallo, giallo arancio, e lumeggiato in oro; alt. cm 2,8, diam. cm 23,8, diam. piede cm 9,6
A PLATE, GUBBIO, FRANCESCO URBINI, WORKSHOP OF MASTRO GIORGIO ANDREOLI, CIRCA 1531-1536
Bibliografia
J. Mallet, Francesco Urbini in Gubbio and Deruta, in Faenza, LXV, 6, 1979, pp. 279-285
Il piatto ha un cavetto poco profondo e larga tesa, e poggia su un piede ad anello appena rilevato. Sul fronte una scena che occupa tutta la superficie, arricchita dalle lumeggiature in oro, che si ripetono in forma di elementi fogliati sul retro del piatto, privo di iscrizioni.
La scena sul fronte vede i due protagonisti disposti ai lati, mentre il centro è inusualmente occupato dal paesaggio e dal tronco dell’albero che, nel simboleggiare la foresta, svetta in primo piano. Il mito narrato è quello dell’infelice amore di Cefalo e Procri e rappresenta il momento in cui per errore il giovane colpisce la moglie scagliando la sua infallibile lancia. La donna è riversa a terra, mentre il marito attonito le si avvicina. Le lumeggiature danno luce alla scena dipinta secondo lo stile rapido e un poco rigido del pittore.
Il piatto, studiato e pubblicato da John Mallet nel 1979, è stato attribuito a Francesco Urbini, pittore urbinate che risente dell’influenza di Nicola da Urbino, ma condivide con lo Xanto Avelli il modo di disporre le figure e le medesime fonti grafiche, soffermandosi sull’uso delle incisioni e individuando per la figura distesa la fonte nell’incisione di Agostino Veneziano (Bartsch, XIV, 118), e confermando la vicinanza di quest’opera con il gruppo di oggetti in istoriato che Tancred Borenius, seguito da Rackham, attribuì a Francesco Urbini (T. Borenius, Catalogue of a Collection of Pottery belonging to W.H. Woodward, London 1928, pp. 5-7; B. Rackham, Catalogue of Italian Maiolica, London, Victoria and Albert Museum, 1940, pp. 244-245), rimarcando come “la figura sul lato destro, con i capelli portati in avanti come da un colpo di vento, sia un'indicazione particolarmente utile”.
Tra gli esemplari di confronto elencati dal Mallet, alcuni piatti mostrano un confronto stilistico pertinente al nostro piatto, con uno stile rapido con figure tozze e fisionomie ingenue. Tra questi la nota coppa nella quale Francesco Urbini scrive in “I gubio”, attestando la propria paternità urbinate ma nell’atelier di mastro Giorgio Andreoli, che raffigura La nascita di Esculapio del Boymans-van Beuningen Museum di Rotterdam (C. Fiocco, G. Gherardi, Il lustro eugubino e l’istoriato del Ducato di Urbino, in La maiolica italiana del Cinquecento, a cura di G. Bojani, Firenze 2002, pp. 61-68 fig. 6). Anche il piatto con scena di battaglia su un ponte nel Museo di Berlino, lustrato e datato 1534 con attribuzione ancora incerta, si può chiaramente avvicinare al nostro per stile e tecnica: i personaggi con capigliatura caratterizzata da un lungo ciuffo sporgente sulla fronte si sovrappongono stilisticamente al nostro personaggio di Cefalo, caratterizzato dalla medesima pettinatura. E lo stesso profilo e la medesima foggia nella capigliatura li troviamo in un’altra coppa conservata nei Musei civici di Pesaro con scena di soldati che trascorrono la notte in un accampamento (vedi P. Dal Poggetto, I Della Rovere: Piero della Francesca, Raffaello, Tiziano, Milano 2004, p. 402 scheda XII.24): lo stile è assai prossimo a quello del nostro piatto e ci conforta nell’attribuzione, portandoci a datare l’opera tra il 1531 e il 1536, anni in cui Francesco opera a Gubbio.