ALBARELLO, CASTELDURANTE O DERUTA, PRIMA METÀ DEL XVI SECOLO
in maiolica dipinta in blu di cobalto, giallo arancio, giallo antimonio e bruno di manganese su smalto sottile moto poroso; alt. cm 21, diam. bocca cm 10, diam. piede cm 9,2
A PHARMACY JAR (ALBARELLO), CASTELDURANTE OR DERUTA, FIRST HALF 16TH CENTURY
L’albarello ha forma cilindrica e mostra un’apertura arrotondata con orlo estroflesso, breve collo cilindrico che si apre su una spalla fortemente piana con profilo angolato. Il corpo è fortemente rastremato e scende verso un calice breve, anch’esso rastremato e poggiante su un piede a disco con base piana e orlo estroflesso. Un fitto decoro a trionfi, ombreggiati in mezza tinta giallo arancio, interessa l’intera superficie del vaso: al centro del fronte una sottile cornice ovale listata in verde ramina racchiude dall’alto uno scudo cuoriforme con il monogramma NO sormontato da una stella, un cartiglio definito da una fascia acquarellata giallo antimonio che contiene la scritta farmaceutica redatta in caratteri capitali V. EGITIACO, un trofeo con scudo.
La tipologia di questo albarello appartiene alla tradizione decorativa dei trofei d’armi, molto diffusa all’interno del ducato di Urbino. Qui il decoro è redatto con cura, in forme sottili ben sottolineate e ombreggiate nella variante giallo arancio individuata e studiata di recente (R. Gresta, La produzione pesarese a “trofei” in mezzatinta gialla, in Venezia le Marche e la civiltà adriatica, per festeggiare i 90 anni di Pietro Zampetti, Venezia 2003, pp. 318-321).
A Casteldurante questa decorazione è molto variabile e si estende per tutto l'arco del XVI secolo fino al primo quarto del XVII. I frammenti rinvenuti durante lo scavo archeologico del 2003 di via Porta del Molino mostrano una gamma eterogenea, sia nell'uso di questo decoro nell'impianto decorativo del manufatto, sia nella scala cromatica, documentato in grisaille o in ocra sulla tesa di piatti oppure in arancio al centro di piatti decorati sulla tesa con festoni o ancora in arancio-bruno su forme chiuse. E trofei ocracei da scavo sono documentati comunque anche ad Urbania (A.L. Ermeti, Ceramica da sterri a Casteldurante tra XIV e XVII secolo, 1997, p. 75, 78, fig. 81).
Tuttavia la presenza di albarelli coerenti per morfologia e con decori a trionfi, invero meno raffinati, presenti nelle raccolte di Arti Applicate del Castello Sforzesco di Milano con il medesimo emblema di farmacia, sono stati pubblicati come di bottega derutese dell’inizio del secolo XVI (G. Busti, F. Cocchi in R. Ausenda, Musei e Gallerie di Milano. Museo d’Arti Applicate. Le ceramiche, vol. I, Milano 2000, pp. 73-74 nn. 50 e 56). Il riferimento a opere simili, ma con monogramma differente, attribuite invece a Siena nel 1949 ad opera di Joseph Chompret (J. Chompret, Répertoire de la majolique italienne, Parigi 1949, tavv. 874-876) ci fa riflettere ancora sulla definitiva attribuzione dell’opera. Una notazione particolare ci preme riguardo alla morfologia del pezzo, che per spalla angolata e rastrematura del corpo si avvicina ai vasi apotecari tradizionalmente ascritti a Casteldurante, come gli albarelli della farmacia con emblema del gallo, oppure quelli che ritroviamo poi anche nella bottega Picchi.