Gaspar van Wittel, detto Gaspare Vanvitelli
(Amersfoort (Utrecht) 1652/53 – Roma 1736)
VEDUTA DEL TEVERE CON CASTEL SANT’ANGELO E SAN PIETRO SULLO SFONDO
olio su tela, cm 49x98,5
Provenienza
Sua Altezza Reale la Principessa Reale Louise di Sassonia-Coburgo-Gotha, Duchessa di Fife (1867-1931); Londra, Christie’s, 18 dicembre 1931; collezione privata, Roma.
Bibliografia
Catalogue of Ancient and Modern Pictures the property of H.R.H the late Princess Royal removed from 15, Portman Square, W1. Now sold by direction of Lady Maud Carnegie. Christie’s, Londra, 18 dicembre 1931, p. 23, n. 134: “a view of Rome from the Tiber”; G. Briganti, Gaspar van Wittel. Nuova edizione a cura di Laura Laureati e Ludovica Trezzani, Milano 1996, p. 181, n. 133.
Referenze Fotografiche
Fototeca Federico Zeri, Bologna, scheda 62615
Vera e propria icona della Città Eterna ideata da Gaspar van Wittel per i viaggiatori del Grand Tour, la splendida veduta qui offerta unisce i documenti architettonici più imponenti e significativi della Roma classica e cristiana agli aspetti più quotidiani e feriali della vita dei suoi abitanti sulle rive del Tevere.
Presa dalla riva sinistra del fiume, e più precisamente da un punto elevato nei pressi di Tor di Nona, la veduta ha il suo punto focale nella mole circolare di Castel Sant’Angelo, la fortezza pontificia cresciuta sul nucleo centrale del mausoleo di Adriano e arricchita dei bastioni e cammini di ronda a picco sull’acqua. Alle vestigia del potere imperiale risponde, sullo sfondo della veduta, la basilica vaticana con i palazzi pontifici, mentre al centro ponte Sant’Angelo, ornato dalle statue eseguite tra il 1669 e il 1671 da Gian Lorenzo Bernini e dai suoi allievi, collega le due rive sostituendo l’antico ponte Aelius voluto da Adriano.
Non meno interessante il tessuto urbano minore, in parte distrutto alla fine dell’Ottocento per quel che riguarda gli edifici sulla riva sinistra del Tevere: tra questi si riconosce palazzo Altoviti, la cui facciata prospetta sulla piazza di ingresso al ponte. Più indietro, il complesso della chiesa e dell’ospedale di Santo Spirito in Sassia, di cui si riconosce il caratteristico campanile esagonale; a destra, il tessuto minuto dei borghi, distrutti negli anni Trenta del secolo scorso per dar luogo a via della Conciliazione. Di probabile invenzione appare invece la terrazza in primo piano a sinistra, parte di un edificio troppo imponente e raffinato per inserirsi nel contesto popolare di Tor di Nona: ripetuta in tutte le versioni dipinte di questa veduta e presente anche nel suo disegno preparatorio, di cui si dirà, si tratta certo di un espediente prospettico immaginato da Vanvitelli per ancorare sul primo piano la fuga di edifici minori.
Sulla spiaggia in corrispondenza dell’arco di Parma sulla riva sinistra e sui prati di Castello su quella opposta, pescatori, bagnanti e sfaccendati affollano le rive del Tevere, solcato da piccole imbarcazioni; dalla terrazza in primo piano, due dame si sporgono per osservare la vita della città sul fiume.
Non è certo sorprendente che questa veduta, certo la più felice tra quelle che Gaspar van Wittel dedicò al corso del Tevere e al tessuto urbano antico e moderno lungo le sue rive, sia stata la più richiesta da parte dei collezionisti del pittore olandese così come dai viaggiatori stranieri che alla partenza da Roma desideravano riportare in patria un ricordo del proprio soggiorno o, più verosimilmente, un’immagine altamente simbolica della città visitata, allora la più ambita in Europa.
Conosciamo infatti undici redazioni di questa veduta (cfr. Gaspar van Wittel. Nuova edizione a cura di Laura Laureati e Ludovica Trezzani, Milano 1996, pp. 178-181, nn. 126-136), a cui se ne aggiungono altre due ancora inedite. La loro esecuzione si scala lungo l’intera attività del pittore olandese, con date che vanno dal 1682 al 1722. La versione più antica è infatti la tempera ora nella Pinacoteca Capitolina, dalla collezione dei marchesi Sacchetti, primi protettori di Gaspar van Wittel. Segue, l’anno successivo, la tempera ora alla Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini, parte di una serie di quattro nella collezione di Livio Odescalchi, come documentato dal suo inventario del 1713. Come le altre della stessa serie, presenta al retro una scritta autografa in lingua olandese, che Van Wittel sempre utilizzò per le sue note personali. Una terza versione a tempera del 1689, infine, proviene verosimilmente da casa Colonna dove è tuttora conservata la tempera datata del 1722.
Seguono, negli anni Novanta e nel nuovo secolo, le redazioni a olio su tela e di formato più ampio, di cui la più grande ora nel Musée des Beaux Arts di Rouen, tutte fra loro corrispondenti nei tratti fondamentali ma più sviluppate sul lato destro della veduta che viene a includere così un tratto maggiore dei Prati di Castello. (Per tutte si veda il catalogo della mostra Gaspare Vanvitelli e le origini del vedutismo, Roma 2002, pp. 128-131, nn. 28 e 29). A questo secondo gruppo appartiene il dipinto qui offerto, verosimilmente eseguito nel primo decennio del Settecento.
Tutte derivano, come si è detto, dal grande disegno preparatorio (mm 237x480) ora presso la Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele a Roma (Disegni 3, III, 18) parte dell’importante fondo di studi preparatori vanvitelliani relativi alle sue vedute di Roma, Firenze, Napoli e Venezia. Usato ripetutamente per realizzare dipinti a tempera e a olio, il foglio presenta uno stato conservativo meno buono rispetto agli studi per soggetti di minore successo presso il pubblico di viaggiatori e collezionisti, e quindi utilizzati con minor frequenza se non addirittura un’unica volta. Meno popolare della nostra, ad esempio, la veduta del Tevere sotto i bastioni di Castel Sant’Angelo o quella, incantevole, con la chiesa di san Giovanni dei Fiorentini, appena oltre la nostra sul corso del fiume.
Proposto per la prima volta da Gaspar van Wittel, il soggetto della nostra veduta sarà ripetuto con la stessa inquadratura in numerosissime vedute incise e dipinte, tra cui quelle di Giuseppe Vasi e di Antonio Joli, per limitarci al XVIII secolo.
Proveniente dalla collezione privata della Principessa Reale Louise, figlia del re Edoardo VII, e venduto in asta dopo la sua morta per disposizione della figlia, Lady Maud Carnegie, come opera di Gaspare Vanvitelli, il dipinto qui offerto è stato confermato al pittore olandese da Giuliano Briganti in una comunicazione scritta alla proprietà, e successivamente pubblicato nel catalogo generale curato nel 1996 da Laura Laureati e Ludovica Trezzani.
Note Biografiche
Formatosi nella città natale nella bottega di Matthias Withoos, Gaspar van Wittel è documentato a Roma per la prima volta nel gennaio del 1675. Dopo una prima attività di disegnatore topografico per l’ingegnere olandese Cornelis Meyer, nel 1680 comincia la sua attività di vedutista con disegni destinati all’incisione e una piccola tempera raffigurante piazza del Popolo. Negli anni immediatamente successivi elabora la maggior parte dei suoi soggetti romani, con vedute dedicate al tessuto architettonico della città moderna più che alle sue antiche rovine, ai suoi palazzi di destinazione sacra e profana e alle piazze recentemente sistemate, così come al corso del Tevere. Il suo primo viaggio in Lombardia, documentato da una veduta delle isole Borromee sul lago Maggiore, risale al 1690, mentre nel 1694-95 un viaggio più lungo lo conduce a Venezia, dopo una sosta di alcuni mesi a Firenze a servizio della corte medicea. Nel 1699 si trasferisce a Napoli al servizio del vicerè spagnolo, il duca di Medinaceli, già ambasciatore a Roma e cognato del principe Filippo II Colonna, il più importante committente del pittore olandese. Torna a Roma nel 1702, avendo dipinto le prime vedute moderne di Napoli e in particolare quella della Darsena vicereale, in assoluto il suo soggetto più replicato e richiesto.
Le vedute italiane di Van Wittel e i suoi paesaggi di invenzione nel gusto di Claude Lorrain erano ricercati dai più illustri viaggiatori stranieri, per lo più inglesi e francesi. Tra i suoi primi clienti inglesi sono da ricordare Thomas Coke (1697-1759), poi primo conte di Leicester, e Richard Boyle (1694-1753), Lord Burlington: il primo acquistò durante il suo Grand Tour e in anni successivi non meno di quindici opere di Van Wittel, a olio, a tempera e all’acquarello, alcune delle quali direttamente dall’artista nel 1716-17; il secondo comprò nel 1714 dodici disegni a inchiostro e acquarello, mentre dipinti a olio entrarono nella sua collezione nel 1720 grazie al pittore e mercante Andrew Hay.
La committenza dei viaggiatori del Grand Tour e dei collezionisti stranieri impose a Van Wittel di selezionare, tra i molti soggetti documentati dai suoi disegni preparatori, le vedute più iconiche della Roma antica e moderna, di Venezia e di Napoli, lasciando da parte quelle dedicate a luoghi minori e meno visitati, che pure oggi ci colpiscono per la loro inconsueta modernità.