Gervasio Gatti, detto il Sojaro
(Cremona, 1550 circa - 1630)
RITRATTO DI NOBILDONNA
olio su tela, cm 104x75
al retro sono presenti bolli della dogana di Bologna del 1911 e quelli del trasportatore imperiale di Vienna.
Il dipinto è corredato di parere scritto di Marco Tanzi
Bibliografia
Sette ritratti lombardi dalla tarda maniera alla maniera pura, testi di M. Tanzi e M. Vezzosi, Firenze, 2009, pp. 4-9
Il ritratto di nobildonna qui proposto rientra all'interno della ritrattistica cremonese della fine del Cinquecento. Si caratterizza, come riporta Marco Tanzi, per intensa carica espressiva, raffinatezza d'esecuzione e per l'efficace definizione dei tratti dell'effigiata.
Tanzi propone un'attribuzione a Gervasio Gatti, nipote di Bernardino Gatti detto il Sojaro, da cui ereditò il soprannome (una versione dialettale del mestiere di bottaio). Presso lo zio condusse il proprio apprendistato che è documentato a partire dai lavori per la cupola di Santa Maria della Steccata a Parma dove Bernardino fu attivo dal 1560 al 1572. Il Gatti si formò a diretto contatto con le opere dei maestri parmensi, filtrando la lezione che lo zio aveva assimilato dalla maniera romano-padana e a parte qualche eccezione fu attivo principalmente nella città di Cremona.
Del resto Cremona, già dagli anni venti del Cinquecento, era un crocevia artistico di primaria importanza. Luogo ufficiale di sperimentazione fu la cattedrale di Cremona dove si erano succedute le più aggiornate personalità artistiche (Romanino e Pordenone). Da questo cantiere si sarebbe formata la nuova generazione di artisti cremonesi.
L'effigiata, di cui è chiara la condizione vedovile, è probabilmente una nobildonna che faceva parte di una famiglia locale di cui però non troviamo riferimenti di carattere araldico nel quadro; solo gli anelli che indossa potrebbero rivelare un'affiliazione, in particolare quello sul mignolo sinistro con la Croce dei Cavalieri di Malta o dei Gerosolimitani, unico lusso di un abbigliamento estremamente austero.
Nella severità complessiva dell'immagine il Gatti riesce a far risaltare il suo virtuosismo pittorico nella resa elegante dei bianchi presenti nel colletto a lattuga, nella camicetta sottostante e nei pizzi dei polsini; di estrema raffinatezza anche l'espediente della luce che batte sulla veste nera, creando nel risvolto della casacca e sulle maniche operate del vestito delle zone luminose diversificate.
Vivido e penetrante infine il volto della donna si imprime sullo spettatore con immediatezza.
Come indica Marco Tanzi non sono da escludere per il quadro influenze nordiche legate da una parte alla corrente circolazione di prototipi fiamminghi che il Gatti aveva potuto vedere e copiare alla corte farnesiana di Parma, dall'altra ai documentati rapporti con le Fiandre della stessa Cremona che all'epoca era, come evocava Roberto Longhi, di spirito, una Piccola Anversa.