PIATTO
URBINO, FRANCESCO XANTO AVELLI, 1537
maiolica dipinta in policromia con verde in due toni, blu di cobalto, giallo, giallo arancio, bruno di manganese, bianco di stagno.
Diam. cm 26,2, diam. piede cm 9,5, alt. cm 2
Iscritto sul retro 1537./L’i[n]avvertito Cephal/Procri uccide./.F.X./.R.
Sul retro vecchia etichetta con iscrizione: Vente de la collection de M. le Conte G. de Larderel/5 e 6 mai 1877. N. [21] du catalogue/comm. pr. Ch. Pillet – Expert Ch. Mannheim.
Provenienza
Collezione Pasolini, Faenza;
Collezione Larderel, Parigi;
Collezione privata, Parigi;
Collezione privata, Milano
Bibliografia
L. Frati, Del Museo Pasolini in Faenza. Descrizione, Bologna 1852, p. 15 n. 59;
Catalogue des Faiences Italiennes… Composant la belle Collection de M. le C.te G. de L., Parigi 1877, p. 8 n. 21;
E.P. Sani, Per un catalogo delle opere attribuibili a Xanto: una ricognizione sulla sua produttività e sul suo complesso apparato figurativo, linguistico ed erudito, Faenza 2007, p.187; 192 figg. 9a, 9b, in “Faenza” XCIII (2007), n. IV-VI, pp. 181-198;
E.P. Sani, List of works by or attributable to Francesco Xanto Avelli, p. 199 n. 334, in J.V.G. Mallet, Xanto. Pottery-painter, Poet, Man of the Italian Renaissance, catalogo della mostra, Wallace Collection, Londra 2007
Il piatto ha cavetto profondo e larga tesa appena inclinata e poggia su un basso piede privo di anello. Lo smalto è spesso e lucente con tracce di verde sul retro. Il pittore utilizza, come di consueto, una cromia varia con impiego sapiente e abbondante dei pigmenti in prevalenza freddi. Si notano vari toni del verde, del blu e dell’azzurro; il giallo arancio è dedicato alle vesti mentre le architetture sono caratterizzate da una cromia chiara, che sfrutta velature sottili per far emergere il fondo smaltato. Tocchi di bianco di stagno danno luce ai dettagli dei volti e profondità al paesaggio.
La scena raffigurata si svolge in un paesaggio mosso e variegato: un piccolo bosco di alberi a destra, un tronco spezzato all’esergo, un’architettura con fornice arcuato e alta torre cuspidata a chiudere la narrazione sulla sinistra, lasciando sullo sfondo un paesaggio montuoso. Al centro della scena una figura femminile soffia in un mantice verso una donna inginocchiata, con lo sguardo rivolto verso il cielo e le mani giunte. Tra gli alberi un giovane solleva una lancia nell’atto di scagliarla. L’iscrizione sul retro, delineata in bruno manganese, ci spiega la narrazione: L’i[n]avvertito Cephal / Procri uccide.
Si tratta del mito di Cefalo e Procri, riportato nelle Metamorfosi di Ovidio (Metamorfosi, VII, 661-865), spesso raffigurato in pittura e nelle miniature, che ebbe grande successo anche grazie a una rappresentazione teatrale, a lieto fine, ad opera di Niccolò da Correggio che fu rappresentata a Ferrara alla fine del Quattrocento in occasione di un nobile matrimonio. Narra l’amore sfortunato tra Cefalo e Procri, messo a dura prova da divinità invidiose: dopo una serie di tradimenti e di prove i due sposi si ritrovano, ma la gelosia di Procri nei confronti di Aurora, causa della prima rottura, la porta a inseguire il giovane marito per accertarne la fedeltà durante una battuta di caccia. Il sospetto derivava da alcuni pettegolezzi secondo cui l’uomo aveva affidato al vento il richiamo di una certa aura perché lo raggiungesse e gli alleviasse la fatica della caccia: ma Cefalo in realtà invocava il vento affinché rinfrescasse il suo corpo accaldato. Il giovane, armato con una lancia infallibile, sentì un fruscio indistinto dietro ad un cespuglio e scagliò l’arma ferendo a morte la moglie scambiata per una preda.
La composizione di Xanto Avelli è come sempre serrata e allusiva e la figura simbolica che soffia aria nel mantice, posta al centro della scena, si presta a una doppia interpretazione: forse provoca il fruscio che scatena il lancio mortale di Cefalo, oppure raffigura la Fama che riporta le parole così malintese di Cefalo alla sposa inginocchiata e accecata da Amore che stende un velo davanti ai suoi occhi.
Come spesso accade nelle opere del maiolicaro rovigense, nel nostro piatto si nota un sapiente uso delle incisioni. Nella figura al centro si riconosce una delle figure che più spesso è utilizzata dal pittore, qui in una versione speculare, ispirata ad una delle fanciulle (vedi fig. 1) dell’incisione di Giangiacomo Carraglio da Rosso Fiorentino raffigurante La contesa tra le Muse e le Pieridi (Bartsch 28, p. 186, n. 53); Cefalo è tratto dalla figura di fondo (vedi fig. 2) dell’incisione di Marcantonio Raimondi da Raffaello con Davide che uccide Golia (Bartsch 27, p. 19, n. 10-I.12); Amore da uno dei putti (vedi fig. 3) del Parnaso di Marcantonio Raimondi da Raffaello (Bartsch 26, p. 244 n. 247). Per la figura di Procri invece non è stata per il momento individuata la fonte, ma compare anche in un piatto con Santa Caterina di Alessandria attribuito a Francesco Xanto Avelli e conservato al Museo di Ecuen (inv n. ECL 2344), datato tra il 1535 e il 1540.
Il mito di Cefalo e Procri è stato raffigurato in altre due opere, a conferma del successo del mito ovidiano nella bottega urbinate di Xanto. Il primo piatto, opera certa di Xanto Avelli oggi conservata a New York al Metropolitan Museum of Art (inv. n. 27.97.41), che reca sul retro la scritta in nero “.1533./l’inaveduto Cephal/procri uccide./Nel .VII. libro dOuidioMet:/.fra:Xanto. A./Rovigiese I/Urbino”, condivide con il nostro la scelta di alcune incisioni, come il giovane Cefalo, in questo caso più vicino alla fonte rispetto al nostro piatto, dove indossa vesti più elaborate. L’altro piatto, appartenente al servizio Leonardi e oggi conservato al Museo di Pesaro (Inv. C.A.S. 155), reca al verso la scritta “de Aurora e Cefalo”, probabilmente di mano di Nicola di Urbino, ed è databile al 1532 circa. Le composizioni dei piatti sono differenti per scelta narrativa, le figure sono impostate e distribuite nelle opere in modo differente e con mutevole interpretazione del soggetto, e nel nostro piatto lo stile è ormai evoluto e standardizzato in uno schema stilisticamente maturo.
Il piatto è stato studiato e pubblicato da Elisa Paola Sani in occasione del convegno su Francesco Xanto Avelli alla Wallace Collection di Londra nel 2007, e quindi inserito nel corpus delle opere attribuibili al pittore nel catalogo della mostra stessa. Proprio la studiosa ha suggerito la provenienza del piatto dalla collezione Pasolini di Faenza, nel cui catalogo (vedi fig. 4) al capitolo Lavori dell’epoca buona con indicazione dell’artefice. Di Francesco Xanto Rovigino vasaio di Urbino al numero 59 dell’elenco si legge: “Altro assai bello, rappresentante Cefalo, che inavvertitamente uccide Procri. Rov. 1537”. Una vecchia etichetta posta sul retro del piatto suggerisce invece il transito nella collezione Larderel di Parigi, dispersa all’asta presso l’Hotel Drouot nel 1877 (vedi fig. 5).