Michelangelo Cerquozzi
(Roma 1602 - 1660)
AUTORITRATTO NELLO STUDIO
olio su tela, cm 51x42,5
iscritto al retro di Michelangelo delle Bambocciate
Opera per cui è in corso il procedimento di dichiarazione di interesse culturale da parte del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Genova, in data 1 giugno 2017
Provenienza
Firenze, collezione Capponi
Bibliografia
Serie degli uomini i più illustri nella Pittura, Scultura e Architettura con i loro Elogi e Ritratti incisi in rame… , VIII, Firenze 1774, p. 131, n. 1; E. Cropper, Michelangelo Cerquozzi’s Selp-Portrait: the Real Studio and the Suffering Model, in Ars Naturam Adiuvans. Festschrift für Matthias Winner. A cura di Victoria von Flemming e Sebastian Schütze, Magonza 1996, pp. 401-12, fig. 5; L. Lorizzo, Un nuovo inventario dei beni di Michelangelo Cerquozzi stimato da Mario dei Fiori, in “Rivista d’Arte”, 2011, p. 300 e nota 45.
Inciso da Benedetto Eredi come illustrazione dell’Elogio di Michelangelo Cerquozzi pubblicato nella Serie degli uomini illustri, dove è ricordato in casa Capponi a Firenze, il dipinto può forse identificarsi con il “Ritratto, mano et effigie di Michel Angelo delle Battaglie fattosi mentre dipingeva in Roma” offerto in vendita nel 1673 a Giuseppe Maria Casarenghi, agente del cardinal Leopoldo de’ Medici, che lo ricercava per la nota collezione di autoritratti di artisti riunita dal cardinale e oggi agli Uffizi. Come documentato dalla corrispondenza a suo tempo pubblicata da Prinz e citata da Elizabeth Cropper, il dipinto non fu ritenuto adatto a quella raccolta perché eseguito molto tempo prima e ormai poco somigliante al pittore, morto quasi sessantenne circa un decennio prima; Cerquozzi vi si era infatti raffigurato intorno ai quarant’anni di età, quella che appunto dimostra nel dipinto qui proposto.
Non sappiamo se l’autoritratto visto da Casarenghi sia, come è molto verosimile, la versione qui offerta, presente almeno dal 1774 in casa Capponi a Firenze, oppure quella, praticamente identica, entrata a metà Ottocento nella collezione Pallavicini a Roma (L. Laureati, in G. Briganti, L. Trezzani, L. Laureati, I Bamboccianti. Pittori della vita quotidiana a Roma nel Seicento, Roma 1983, p. 190, fig. 5.57). L’esistenza di almeno due repliche autografe di questo dipinto è in ogni caso un documento prezioso del successo raggiunto fin dai primi anni Quaranta del Seicento da Michelangelo Cerquozzi grazie alla sua produzione di battaglie, nature morte e scene popolari (ma non solo) a piccole figure, e della consapevolezza che di tale successo l’artista stesso coltivava presso il suo pubblico.
L’Autoritratto nello studio documenta altresì un’altra invenzione molto nota del pittore romano, il cosiddetto Buon ladrone, eseguito in più versioni (per cui si veda Laura Laureati, in I Bamboccianti. Niederländische Malerrebellen in Rom des Barock. Catalogo della mostra a cura di D. Levine e E. Mai (Colonia e Utrecht, 1991-1992), Milano 1991, pp. 160-61, n. 9.10, ill.). Gli inventari romani attualmente noti ne ricordano un esemplare nella collezione del cardinal Flavio Chigi (1692) e addirittura due (di cui uno di formato circolare) in quella di Livio Odescalchi (1713), mentre una versione su pietra di paragone e dunque più pregiata, citata nel testamento del pittore e dunque presente nel suo studio fino al 1660, fu da lui destinata a Monsignor Salvetti.
Non conosciamo invece dipinti di Cerquozzi raffiguranti San Girolamo, soggetto presumibile del quadro che – almeno apparentemente – egli sta dipingendo nella scena che lo ritrae al lavoro. Apparentemente, per l’appunto: sebbene l’anziano modello in ginocchio, lacero nelle vesti ma caratterizzato dagli occhiali e dal libro, attributi del santo, compaia con tutt’altra caratterizzazione in scene popolari dipinte da Michelangelo Cerquozzi (tra cui le Nozze dei contadini già in collezione Gerini a Firenze) sarebbe davvero difficile immaginarlo protagonista di una scena sacra in cui fosse raffigurato di spalle, così come il pittore seduto al cavalletto dovrebbe presumibilmente vederlo.
Si tratta quindi piuttosto di un “manifesto” sui metodi del pittore romano, che lavorava sul modello “preso dalla strada”, come prima di lui Caravaggio e i suoi seguaci. Nella sua biografia dell’artista, Filippo Baldinucci ricorda appunto come Cerquozzi “insieme a Iacinto Brandi, suo amicissimo, usava tenere nella propria casa un naturale, dal quale studiava per le figure piccole, che erano il suo personale talento, e il Brandi per le grandi” (Notizie dei Professori del Disegno… ed. 1846, IV, p. 513).
Nello stesso tempo però Cerquozzi non disdegnava copiare la scultura antica e contemporanea, come indica la testina, probabilmente in gesso, posata ai piedi dell’artista nel nostro dipinto. Il testamento del pittore e il suo inventario descrivono appunto, tra gli arredi della casa “alla Selciata del Pincio” e i materiali dello studio al secondo piano, teste di marmo, sculture e rilievi in marmo e in terracotta, e figure in gesso: tutte furono legate agli allievi insieme a “ogni altra cosa che serve per la pittura” (Laureati, 1983, cit., pp. 378-385).