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Giovanni Battista Vanni
(Firenze 1600 - Pistoia 1660)
CARDINALI A CAVALLO, 1653-1657
olio su tela, cm 109x216,5
firmato e datato in basso a destra Gio.B.Vanni. F. 165(..)
Provenienza
Già collezione Corsi
Collezione privata
Bibliografia
G. Guicciardini Corsi Salviati, La villa Corsi a Sesto, Firenze, 1937, p. 18 e p. 67
D. Pegazzano, I Cardinali guerreggianti: dipinti inediti di Giovan Battista Vanni per monsignor Lorenzo Corsi, in Prospettiva, 153/154.2014 (2015), pp. 74-94, figg. 1-4, fig. 11
Il grande e fascinoso dipinto qui presentato testimonia l’ultima tappa di un proficuo sodalizio tra monsignor Lorenzo Corsi e il pittore Giovan Battista Vanni che per lui realizzò molte opere.
Donatella Pegazzano dedica un recente e nutrito articolo a questi due personaggi e al quadro qui offerto.
Come per la Caccia del cardinale Giovan Carlo dei Medici (presentato nell’asta Pandolfini del 23 novembre 2016 con il lotto 28) anche i Cardinali a cavallo sono ricordati nell’inventario della nobile famiglia di appartenenza: “sei ritratti di Cardinali che hanno comandato in guerra” e ancora “Due quadri grandi che uno di Braccia 4 e ½ di larghezza dipintovi una Caccia del Serenissimo Cardinale Giov. Carlo dei Medici alla villa di Cafaggiolo e l’altro Braccia 4 incirca ove sono dipinti sei Cardinali a cavallo (in G. Guicciardini Corsi Salviati, La villa Corsi a Sesto, p.18 e p. 67).
La scena rappresentata è strettamente legata alla vita e alle aspirazioni di monsignor Lorenzo Corsi (1601-1656) che stava avviando una brillante carriera ecclesiastica che lo avrebbe portato al cardinalato se non fosse morto precocemente di peste durante l’epidemia che aveva colpito Roma.
L’anno successivo alla morte di Lorenzo, nel 1657, il Vanni venne pagato per il nostro dipinto con un primo acconto di 22 scudi e saldato con 64 scudi; la voce di pagamento infatti parla di “diversi cardinali guerreggianti servito per la Galleria di Sesto” (Pegazzano cit. pp. 79-80. nota 53) e fu l’abate Domenico Maria, nipote di Lorenzo e figlio di Giovanni Corsi, a pagare il pittore.
Ci troviamo comunque di fronte ad una committenza di Lorenzo Corsi e non di Domenico Maria in quanto i personaggi effigiati sono in relazione con le vicende della sua vita tra Roma e la Francia. Per quanto riguarda il periodo di realizzazione del quadro è possibile che il Vanni lo abbia ideato e cominciato nel 1653, appena dopo il rientro del Corsi da Avignone (dove era stato dal 1645 come vice legato per conto di papa Innocenzo X), e terminato quattro anni dopo quando Domenico Maria aveva provveduto al saldo dell’opera.
Il grande quadro, che si contraddistingue per una studiata composizione scenografica, per i colori brillanti e i dettagli vividi, rappresenta un gruppo di sei figure a cavallo con due paggi vestiti all’orientale. Le figure si stagliano monumentali sotto un cielo tempestoso, nel paesaggio in lontananza si vedono un accampamento militare e una città fortificata.
Sono gli zucchetti color porpora sulle teste delle figure che ci permettono di identificarli come cardinali, almeno per cinque delle sei figure. Sotto ogni personaggio è visibile un numero tracciato a pennello che doveva rimandare ad una iscrizione in cui erano riportati i nomi per identificarli. L’iscrizione purtroppo non è più presente nel quadro anche se, analizzandolo con la lampada di Wood, si intravedono nella parte superiore le gambe di quelli che potevano essere Vittorie alate in atto di sostenere un cartiglio con i nomi dei cardinali. Probabilmente il quadro è stato ridotto nell’altezza e le figure delle Vittorie ridipinte e nascoste da nubi cariche di pioggia.
La presenza del cartiglio ci viene suggerita anche da un’incisione di François Chauveau del 1655 (Pegazzano, cit., p. 79, fig. 7) che riproduce Mazzarino su un cavallo impennato in atto di sedare il conflitto tra l’esercito imperiale e quello francese durante la guerra del Monferrato. Nella parte soprastante della scena si vede infatti un doppio cartiglio inneggiante alla sua fama e alla sua gloria.
L’avvenimento della Guerra dei Trent’Anni, che pose fine alla difficile successione dello stato di Mantova e Monferrato, è ricordato come un’azione eroica in cui si dimostrarono tutte le doti diplomatiche di Mazzarino, non ancora cardinale, ma in procinto di diventarlo; infatti l’occasione fu propizia per mettere in luce la sua abilità politica intuita subito da Richelieu che di lì a poco lo avrebbe chiamato in Francia come suo successore. Proprio questo avvenimento presso Casale Monferrato, nonché l’incisione di Chauveau, ci aiuta a riconoscere nel cavaliere al centro del nostro dipinto un vittorioso Giulio Mazzarino. Invece nel primo personaggio sulla sinistra con la chioma bianca e il volto magro si riconosce facilmente il cardinale Richelieu, il cui volto era noto in Europa per il bellissimo ritratto di Philippe de Champaigne adesso presso la National Gallery di Londra.
Insieme a queste due personalità di spicco è possibile rintracciare anche gli altri personaggi presenti nel quadro. Secondo quanto ricostruito da Pegazzano, in base alle frequentazioni romane di Lorenzo Corsi e ai confronti fisionomici, i due cavalieri sul lato destro del dipinto sono i cardinali Antonio iuniore (1670-1671) e Francesco Barberini (1597-1679) nipoti di Urbano VIII.
Antonio ha appuntata sul petto la croce dell’Ordine di Santo Spirito, che ricevette nel 1653, onorificenza che spettava alle personalità particolarmente vicine al re di Francia e interessante termine post quem del dipinto.
Proprio la presenza di Antonio induce a pensare che l’altro cardinale in armatura, quello più esterno, sia Francesco Barberini anche lui coinvolto nell’ambasceria papale e in contatto epistolare con Lorenzo Corsi.
Gli ultimi due cavalieri potrebbero essere Carlo I Gonzaga Nevers (accanto a Richelieu) che ebbe il dominio del ducato di Mantova dopo la pace di Casale, e Giulio Sacchetti (tra i due Barberini) anch’egli coinvolto nello stesso avvenimento (Pegazzano cit. p. 83).
Il dipinto potrebbe essere stato commissionato dal Corsi come dono ad Antonio Barberini per celebrarne il rientro a Roma dalla Francia, dopo aver ricucito i rapporti con papa Pamphilj, e per sottolineare la fedeltà al partito filo-francese grazie alla presenza di Richelieu e Mazzarino.
E sono proprio queste due personalità che dimostrano infine il forte desiderio di ascesa di Lorenzo Corsi e le sue aspirazioni al cardinalato. In particolare la brillante carriera di Mazzarino costituì certo un modello di riferimento per lui, considerando che furono entrambi vice legati ad Avignone.
Tuttavia la morte impedì al Corsi di raggiungere l’importante carica ambita; fu però il nipote Domenico Maria a raccogliere l’eredità dello zio e a diventare nel 1686 cardinale e in seguito vescovo di Rimini e Ferrara continuando inoltre ad incrementare le fortune e le collezioni della famiglia e a dimostrare una spiccata predisposizione all’arte e al collezionismo.